“Ci
sono posti che vedi una volta sola e ti basta... e poi c'è Napoli”
JOHN TURTURRO
Esistono due Napoli: una reale, fisica, accogliente nei suoi vicoli, nei palazzi e nella sua storia, l’altra, platonica, l’idea astratta di Napoli, frutto dell’immaginario collettivo, che ha creato tanti luoghi comuni, sancendo di fatti lo status di città unica al mondo, originale, contraddittoria, irripetibile. Ma se Napoli è capro espiatorio della somma dei problemi di un’intera nazione, è anche e soprattutto arte, e musica in particolare. La città ha sempre avuto un forte e privilegiato rapporto col mare, e l’intermediario di questo matrimonio è il suo porto, aperto al mondo e alle navi che vi approdano e trovano rifugio. Napoli nei secoli ha imparato ad accettare e ad integrare gli stranieri: la città ha "rubato" a tutti e a tutti ha dato qualcosa da portarsi via. Il napoletano è abituato ad aspettare, aspettare che lo straniero entri, che si sfoghi, che si senta conquistatore, senza rendersi conto che è lui che sta lasciando qualcosa, che viene studiato, che da lui si cerca di capire se ha qualcosa di utile da lasciare! Alla fine la cultura napoletana prevale, un po' più ricca di prima, perché ha imparato a non soccombere, nonostante tutto. Napoli assorbe e poi trasforma, e infine rimanda e comunica. Non a caso è stata da sempre capitale, anche se l’Italia tenta in tutti i modi di “ridimensionarla”, ma la sua cultura è la sua forza, è il vero segno di civiltà, il contrario dei falsi parametri e dei finti modelli imposti da chi non la pensa proprio così, distante e immerso com'è nelle proprie nebbie!! Ma torniamo alla sua musica….
…..l'origine della canzone napoletana si colloca intorno al XIII secolo, quindi ai tempi della fondazione dell'Università partenopea istituita da Federico II (1224), della diffusione della passione per la poesia e delle invocazioni corali dalle massaie rivolte al sole, come espressione spontanea del popolo di Napoli, manifestante soprattutto la contraddizione tra le bellezze naturali e le difficoltà oggettiva di vita. Un forte sviluppo si ebbe nel Quattrocento, quando la lingua napoletana divenne la lingua ufficiale del regno e numerosi musicisti, ispirandosi ai cori popolari, iniziarono a comporre le farse, le frottole e le ballate. Alla fine del Cinquecento si diffuse la villanella alla napoletana, che conquistò l'Europa. Questa espressione artistica popolare era allora carica di contenuti positivi ed ottimistici e raccontava la vita, il lavoro ed i sentimenti popolari.
Il Seicento vide sfiorire la villanella e la comparsa dei primi ritmi della tarantella, con la celebre Michelemmà. Nel secolo successivo si rintraccia un secondo antefatto della canzone napoletana ottocentesca, rappresentato dalla nascita dell'opera buffa napoletana, che influenzò non solo il canto ma anche la teatralità delle canzoni, che divennero un faro per la produzione popolaresca. Intorno al 1768 autori anonimi composero Lo guarracino, divenuta una delle più celebri tarantelle, rielaborata come molte altre canzoni antiche nel secolo seguente.
Elementi catalizzanti la propagazione ed il successo dell'attività musicale furono innanzitutto la nascita, intorno ai primi dell'Ottocento, di negozi musicali e di case editrici musicali come Guglielmo Cottrau, Girard, Calcografia Calì, Fratelli Fabbricatore, Fratelli Clausetti e Francesco Azzolino, che ebbero il merito di recuperare, raccogliere, riproporre, talvolta aggiornandoli, centinaia di brani antichi. Un secondo veicolo di diffusione della canzone fu costituito dai cosiddetti "posteggiatori", ossia dei musici vagabondi che suonavano le canzoni sia in luoghi al chiuso, sia davanti alle stazioni della posta o lungo le vie della città, talvolta spacciando anche le "copielle", fogli contenenti testi e spartiti dei brani parzialmente modificati.
Fra la seconda metà dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, la canzone fu oggetto di inclusione, nei suoi temi, di decadentismo, pessimismo e drammatismo ad opera di intellettuali che ne modificarono lo spirito originario, probabilmente a seguito dell’unità d’Italia, che portò nella città una percezione non proprio positiva e la sensazione di essere stata defraudata del suo antico splendore di capitale culturale europea, nel vano tentativo di assoggettare Napoli al ruolo comprimario di città di “provincia”. In quel periodo i maggiori musicisti e poeti si cimentano nella composizione di numerose canzoni, ponendo le basi per la nascita della canzone classica napoletana, pietra miliare della canzone italiana ed uno dei repertori più conosciuti all'estero.
Parallelamente a questo fenomeno, Bruno
Venturini rilegge in chiave lirica i più famosi brani del repertorio classico
della canzone napoletana, dando vita ad una significativa opera antologica (con
brani che vanno dal 1400 ai giorni nostri), nella continuità del bel canto
italiano nel mondo, che ha avuto nel grande tenore Enrico Caruso la sua massima
espressione vocale.
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Pino Daniele e il suo supergruppo |
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