domenica 7 ottobre 2018

Pino Daniele - 1979





Nonostante il continuo  ricercare percorsi sempre nuovi, la “recente” produzione musicale partenopea ha ulteriormente arricchito il già cospicuo patrimonio napoletano, con opere di grande pregio. Questi tentativi di rinnovamento costituiscono un operazione coraggiosa e affascinante ma notevolmente rischiosa, specie quando si tenta di “ammodernare” una pesantissima eredità composta da immortali pietre miliari, celebri in tutto il mondo. Tuttavia, nel caso della musica napoletana, un vero e proprio distacco non c’è mai stato, piuttosto una continua rilettura del patrimonio musicale, che spesso è frutto della commistione delle più disparate culture e generi musicali, sapientemente attualizzati al momento storico che si vive. A Napoli, negli anni a cavallo tra i ’70 e gli ’80 si sviluppò un movimento artistico denominato Neapolitan Power , ad opera di artisti del calibro di Enzo Avitabile, Tullio De Piscopo, Tony Esposito, e soprattutto James Senese con Napoli Centrale e Pino Daniele; non una rottura col passato, ma una ardita fusione tra la classica, malinconica, melodica tradizione napoletana e il rock-blues-jazz-soul anglo americano, sospinta dal desiderio di rinnovamento culturale e sociale, onda che si estese anche al cinema e al teatro.
In particolare, la produzione di quegli anni di Pino Daniele raggiunse vette inimmaginabili, frutto di una creatività e di un fermento che ha avuto pochi esempi in tutto il mondo. Il cantautore era reduce dal suo primo lavoro in studio, l’album Terra mia, caratterizzato dal tentativo di creare un tipo di canzone che racchiudesse in sé tradizione popolare napoletana, blues, reminiscenze jazz, rock. Il risultato fu un album che dimostrava come l’esperimento di amalgamare generi così “distanti” fosse risultato positivo, dando un frutto musicale eterogeneo, suggestivo e di grande impatto.
In “Terra mia” l’autore si muoveva, attraverso un sound spesso accattivante e provocatorio, ma anche fortemente intimista, fra i drammi della sua città, osservandoli, scrutandoli, arrabbiandosi, incarnando i disagi degli “scugnizzi” moderni. Il disco è la sintesi di un sound “troppo napoletano”, con forti influenze folk, dallo stile ruvido, grezzo; nonostante tutto, in quest’album è contenuta la gemma più preziosa della carriera di Pino Daniele, una struggente dedica d’amore verso la propria città e uno dei brani più intensi di tutta la produzione italiana del dopoguerra, ossia Napule è. Ma se nel primo album ci sono tutti i connotati della sperimentazione, di un inconsapevole salto nel buio, nella seconda produzione il cantautore è già ad una svolta: abbandonata la ritmica popolare e folkloristica, c’è una virata verso stili più universali, come il blues o il samba. Brani come “Ue Man” e “Chillo è nu buono guaglione” sono la dimostrazione della metamorfosi, una delle tante che caratterizzerà l’intera carriera di Pino Daniele. Chi afferma che i primi album del cantautore sono tra i migliori mai prodotti, non si sbaglia. Con LP Pino Daniele, del 1979, si sono raggiunti livelli qualitativi difficilmente eguagliabili. Pino gioca molto sulle coordinate tra la Napoli nuova e quella vecchia, sui vicoli, sulle superstizioni e sulle tradizioni. Le canzoni cantate in dialetto napoletano rimangono ferme alle origini dando veramente poco posto all’italiano, mentre la musica si fa più corposa e influenzata sempre più dal blues e dalla musica latina. In studio il disco prende vita in modo quasi naturale, e nell’ispirazione di Pino Daniele la lava del Vesuvio comincia a farsi bagnare con maggior decisione dalle acque del Mississippi. 
I testi si spostano invece dai problemi di Napoli a tematiche più esistenziali e intimiste, tutti intrisi di forte calore umano che non riesce a negare l’origine mediterranea del musicista. Il fil rouge che lega le tematiche dell’intero album è una sottile vena  malinconica che contraddistingue i personaggi delle canzoni, vittime di un infame destino, difficile da cambiare, una raffinata poetica di verghiana memoria.  Di fianco a questi, però, si aprono degli sprazzi di sereno, una gioia di vivere improvvisa, con lo spettacolare sfondo dei vicoli, delle piazze, del mare e del Vulcano. 

In "Chi tene 'O mare" c'è tutto il tormento di una città e di chi vive il mare da vicino: apparentemente come risorsa, ma in fondo......                                                          ....Chi tene 'o mare 'o ssaje

porta na croce.
Chi tene 'o mare
cammina c'a vocca salata
chi tene 'o mare
'o sape ca è fesso e cuntento.
Chi tene 'o mare 'o ssaje
nun tene niente...


Chillo E' Nu Buono Guaglione è un vivace samba che parla di omosessualità. Il tormento interiore di un “femminiello”, in cerca della propria identità e di una vita normale: quando parlare di certe tematiche era ancora tabù! E’ inutile confermare che musicalmente è un brano che risente dello straordinario talento della band di Pino Daniele.
Donna Cuncetta parlate, donna Cuncetta dicite....... dint'a stu tuppo niro
ci stanno tutt'e paure 'e nu popolo ca cammina sotta 'o muro
.....Donna Concetta simbolicamente identificativa di un popolo, che cerca dignitosamente il proprio riscatto e la propria autodeterminazione.
Viento è una ballata acustica straordinaria, la più evocativa, pittorica e teatrale dell’intero album, dalla forte connotazione partenopea.
Ue man è la sintesi perfetta di tutta la musicalità di Pino Daniele, una inedita commistione tra inglese e napoletano suonata con un blues molto americano.
Putesse essere allero è lo sprazzo di sole che spunta dalle nuvole, una felice rassegna di tanti bei momenti che rendono la giornata (e la vita) degne di essere vissute.            
Je so pazzo, il 45 giri che fece da tràino all’intero album, è il più politicamente scorretto. Sostenuto da un linguaggio crudo, qui si parla ancora di rivincita, di ribellione, dell’ineluttabilità del destino, la “nobiltà” della sconfitta.
Concludiamo la sintetica rassegna dei brani dell’album con alcuni stralci del testo di
... E cerca 'e me capi', canzone che chiudeva il disco, in cui è presente un uso delle parole molto potente e incisivo:
E torno a casa stanco muorto e nun
voglio fà ' niente
sto cull'uocchie apierte e sento 'e
sunà.
E pruove a vedè cu dint’a ll'uocchie
'o sole
e cò cazone rutto a parlà 'e
Rivoluzione
e cride ancora, cride ancora
e pruove a vedè chi t'ha attaccato 'e
'mmane
e nun te pu’ girà pecchè te fanno male
e cride ancora, cride ancora...!