Credo sia superfluo aggiungere nuove parole, alle
migliaia che già sono state spese, per “decantare” la carriera straordinaria di
David Bowie, il suo percorso artistico, le sue sperimentazioni e le
contaminazioni di cui si è reso artefice.
Piuttosto focalizzerei l’attenzione sull’ approccio che il Duca ha avuto
con la musica, col mondo della discografia e con l’enorme fama che ha ricevuto
di conseguenza. Quando sento parlare operatori e addetti ai lavori, il concetto
ricorrente è quello che non può esistere paragone tra quello che era il mondo
musicale di 40 fa e quello odierno: le dinamiche sono cambiate, così come il
modo di “farsi conoscere” e di fare carriera. Probabilmente una piccola verità
questa teoria la nasconde, ma non può servire da alibi per marcare la netta
differenza che esiste tra quelli di oggi e i grandi interpreti del passato.
David Bowie appartiene a quella categoria di musicisti che hanno sempre agito
per il solo amore dell’arte, che hanno messo coraggio e consapevolezza nelle
proprie scelte, a prescindere da tutto. Nel mondo della musica ce ne sono
diversi di esempi come questo, anche nella nostra Italia, di artisti che amano
“sfidare” i gusti e le aspettative dei
propri seguaci, degli ascoltatori, che propongono sfide sempre nuove, che
rischiano ad alzare di continuo l’asticella ! Ma esistono di fianco a questi, e
sono la maggioranza, ahimè, interpreti che oramai sono dediti alle produzioni
seriali, alla proposta “sicura”, per mero calcolo commerciale, o per compiacere
la multinazionale di turno, o, peggio, e per mancanza del sacro fuoco dell’arte
che evidentemente arde poco !!!
La parabola di David Bowie è caratterizzata dai
cosiddetti “periodi”, fasi temporali in cui l’artista inglese amava dedicarsi a
determinate sonorità. Quello più netto ed identificabile fu il periodo
berlinese, alla fine degli anni settanta, da cui prese vita la “trilogia
berlinese”, una produzione di tre album, in seguito al suo
trasferimento a Berlino Ovest alla fine del 1976. Qui Bowie
ebbe un approccio con la musica sperimentale tedesca e con elementi di musica elettronica, krautrock, ambient, e world music in collaborazione con il
produttore statunitense Tony Visconti e con l’ onnipresente
musicista inglese Brian Eno. Il
coraggio di cambiare, di adeguarsi ai tempi, rimanendo però sempre lontano
dalle “tentazioni” commerciali e dall’omologazione modaiola del momento. La
visione della musica di David Bowie è stata sempre di creativa originalità, pur
possedendo in sé elementi basilari del decennio che stava attraversando. Lo
dimostra la completa trasformazione avuta negli anni ottanta e poi nei novanta.
La visione artistica è stata sempre completa, a tutto tondo, favorita dalle
collaborazioni con compositori e produttori di avanguardia, e facilitata dalla
concezione che Bowie aveva dell’essere “artista”: oltre alla musica, egli
dipingeva e ha partecipato, con discreto successo, a diverse pellicole
cinematografiche, dimostrando anche eccellenti doti recitative. Inoltre, e non
meno importanti, sono i travestimenti che hanno visto David Bowie protagonista
durante la sua lunga carriera: l’immaginario collettivo è quello di un artista
che si è sempre proposto in maniera “forte”, decisa, con un impatto visivo
potente, audace, precursore dei tempi e delle mode, a volte create proprio dal
cantante e dal suo stile post swinging
sixties glam.
Con Bowie non muore un semplice
interprete musicale, ma soprattutto un ricercatore di suoni, di colori, di
espressioni artistiche, uno di quegli uomini che creano strade nuove, con tutti
i rischi che ciò comporta, nuovi sentieri che aiutino a far confluire le
note musicali, per lasciare una utile traccia agli artisti che seguiranno dopo
di lui.
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