Il repertorio della canzone italiana, fra le innumerevoli
tematiche che ha trattato nei suoi testi, è piuttosto ricco di riferimenti,
poetici e non, rivolti a svariate città della penisola, da nord a sud, ma, nel
variegato panorama, non mancano “pensieri” rivolti alle più celebri capitali
europee. Questa consuetudine, comune
soprattutto nella musica pop americana, affonda le proprie radici nel
patrimonio classico, in particolare nella culla della musica popolare italiana,
ossia Napoli. Ed è proprio la città di Partenope, insieme a Roma, Milano,
Genova, sin dalle origini della musica popolare di largo consenso, tra le
destinatarie privilegiate di intense ed eterne composizioni di musica leggera.
Nel vasto assortimento musicale è successo che una stessa città sia stata
“ricordata” da molteplici interpreti, i quali hanno evidenziato connotazioni
diverse, a seconda dell’autore, del genere musicale, del momento storico, degli
aspetti che si sono voluti tracciare, delle esperienze personali. Nella maggior
parte dei casi il nome della città viene menzionato nel testo, in altri si va a
porre l’attenzione su di una via, una piazza o un angolo preciso, in altri
ancora è sottinteso, intuibile, concepito fisicamente, oppure funge da
metafora, da “spirito-guida”. Probabilmente questo articolo non riuscirà a
comprende tutta la produzione musicale italiana dedicata alle città, per
questioni di spazio e di opportunità, ma spero di aver elencato almeno quelle
tra le più emblematiche.
In Italia
Abbiamo parlato di Napoli come
una delle città più omaggiate dagli artisti delle sette note, e, caso unico, le
liriche composte in suo onore sono state quasi sempre in lingua napoletana e
composte da napoletani. La tradizione, che è iniziata da oltre un secolo
e mezzo, ha seguito di pari passo i cambiamenti che ha avuto nel corso degli
anni la musica pop-olare: la Napoli delle cartoline, del profumo del mare,
della melodia, dei vicoli felicemente e armoniosamente affollati, dei panorami
unici ha lasciato dapprima il posto alla Napoli “americana” del boogie e della
ricostruzione, dei forestieri, dei personaggi pittoreschi di Renato Carosone e
poi, in anni più recenti, la cruda realtà giornaliera ha preso il sopravvento
con la rivoluzione afro-jazz-blues del Neapolitan Power, di Napoli Centrale e
soprattutto di Pino Daniele. La città del folklore lascia il posto alla quotidianità,
alle difficoltà, alle periferie, ai mali che attanagliano le metropoli, mali
che a Napoli assumono un dolore particolare. Però, proprio a questi anni
appartengono due dei più straordinari brani composti in onore della città: Napul’è, del 1977, vero e proprio inno,
un’autentica dichiarazione d’ amore di Pino Daniele e Voglia ‘e turnà, di Teresa De Sio, magica, trasversale, antica e moderna
allo stesso tempo, uscita nel 1982. Un decennio più tardi Claudio Mattone ha
una geniale intuizione con ‘A città ‘e
Pulecenella, in cui, alla bellezza struggente e alla luce intensa del cielo
e del mare, si contrappongono il grigiore e lo squallore di corruzione e
malaffare. Ma non meno suggestiva è la composizione strumentale di Daniele
Sepe, Sacicce e friariell, con le
atmosfere serali di una festa patronale di quartiere e la banda musicale come
sottofondo, che catturano l’interesse dell’attento ascoltatore.
Su Roma si è scritto e cantato
molto. La città eterna si predispone perfettamente alla poesia, specie se fatta
in musica, e i suoi figli (e non solo) non hanno tradito l’attesa. Alla poetica
di De Gregori, cruda, tagliente, cinica (nel brano Viaggi & Miraggi la definisce “…una cagna in mezzo ai
maiali…”), a volte poeticamente disincantata, si contrappone la maestosità dei
testi di Venditti, la Roma eterna, unica, la rilettura di quel Roma caput mundi di latina memoria. Emblema
di questo approccio poetico è Roma
Capoccia, eterno e rinnovato amore per la città. Renato Zero fruga nel
pieghe del quotidiano, i suoi personaggi e le sue situazioni borderline animano
il quotidiano della capitale, personaggi grotteschi, dimenticati, spesso
sconfitti. Franco Califano canta Roma come vissuto personale: i propri
incontri, le esperienze, sono la sua ispirazione per descrivere la Roma che lo
coccola e lo protegge, nonostante tutto. Ma con la Nevicata del ’56, la mente torna nostalgicamente indietro al dopoguerra,
quando la città, priva del traffico, degli spari, della polvere e degli affaristi,
ha dato il meglio di sé (….si sentiva soltanto il rumore del fiume la sera…).
Da brividi la versione cantata da Mia Martini e portata al Festival di Sanremo
del 1990.
Luca Barbarossa, nel 1981, con la sua Roma spogliata, ha una visione più romantica, divisa tra nostalgie
e il conto salato che spesso la città ha dovuto pagare. Via Margutta, sempre di Barbarossa, è la città nel particolare, il
microcosmo fatto di arte, di botteghe del caffè e di timori per la guerra, per
i bombardamenti e i rastrellamenti. Le elegantissime emozioni di una Roma che
vuole essere Parigi, dalle forti connotazioni cinematografiche, le cantano i
Matia Bazar, con Vacanze Romane, prendendo
a prestito il titolo di una celeberrima pellicola holliwoodiana. 1950 per la musica italiana non è solo
una semplice data: il capolavoro di Amedeo Minghi si rifà al filone nostalgico
di una Roma persa per sempre, quando la città possedeva una vera identità e una
unicità che l’hanno proiettata nel mondo.
Milano non è mai stata dei milanesi. I suoi figli prediletti ne
hanno cantato il tempo oramai perso, pieno di speranze, di amori e di ringhiere
di periferia, meno problematiche e più umane. Jannacci e Gaber docet! Roberto Vecchioni canta la propria storia, la
sua Milano, condensata in un capolavoro, Luci
a San Siro, una delle più belle liriche sulla città meneghina, dal
fortissimo impatto emotivo. Si spinge oltre Alberto Fortis, piemontese, che
negli anni ottanta traccia un irriguardoso parallelo tra la burocratica e
farraginosa Roma e la pragmatica Milano, con Milano e Vincenzo, giurando eterno amore alla laboriosa città
lombarda e fuggendo dalla sorniona e “traditrice” capitale, che ha tentato di
sopprimerlo inesorabilmente. Ma è il grande Lucio Dalla a comporre quella che
si può definire la lirica definitiva con Milano,
un brano del 1979 che, come spesso è accaduto nella produzione di Dalla, scruta
con sbalorditiva lungimiranza il futuro. Con poche pennellate il cantautore
descrive una Milano cosmopolita e mondana, moderna e antica, grigia e di una
bellezza fiera, proiettata nel cuore dell’Europa e del mondo. Più contemporanea
è la visione dei Marta sui Tubi, con Sushi
e coca, brano del 2008. Giovanni Gulino canta una
città in preda alla frenesia, fra droghe, violenza e una efficienza di
facciata, una Milano dove non c’è spazio per i fragili, come i vecchi e i
bambini, ma solo per l’autodistruzione camuffata da edonismo. “Sapessi com’è
strano sentirsi innamorati a Milano, a Milano. Senza fiori senza
verde, senza cielo senza niente. Fra la gente, tanta gente”. La visione peynetiana di un
signore milanese doc come Memo Remigi è prorompente. Nel 1974, fra grandi
magazzini, cemento e austerità, la città della Madunina sa anche essere
romantica. Cinquant’anni fa c’era chi
parlava di ecologia! Il ragazzo della via
Gluck, celeberrimo brano di Adriano Celentano venne presentato al Festival di Sanremo 1966, ma il brano
viene eliminato dopo la prima serata (l’intuizione delle giurie sanremesi
a volte è commovente!!), ma diventa nel tempo una delle canzoni più note del
Molleggiato. Nel testo ci sono molti riferimenti autobiografici, a partire dal
titolo: via Gluck è infatti la strada di Milano dove il cantante
viveva da ragazzo con la famiglia, notoriamente di origini foggiane.
La bellissima e soleggiata Catania,
città di numerosi artisti, protetta dal vulcano caldo e irrequieto come la
terra che lo ospita, rimane sempre nei cuori dei suoi figli, anche quando
questi si allontanano da lei. Nel brano di Carmen Consoli In bianco e nero la cantantessa recita “…nitido scorcio degli anni 60 di una raggiante Catania […]”
tracce del ricordo della madre, di quando la città era soprannominata la Milano
del Sud, vitale, dinamica, opulenta. Poi sono arrivate la mafia e la
malapolitica…Ma questa è un’altra storia! Nostalgia della propria terra, nel
brano Ma non ho più la mia città di
Gerardina Trovato, “… venne il giorno che
le dissi, tu Catania non mi basti, dei miei sogni che ne hai fatto, me li hai
chiusi in un cassetto…”. Ma una
volta lontana, può constatare che, “…dove
vivo non c’è il mare, sulle case sempre neve, solo nebbia e vento freddo, sopra
il grano scende pioggia, ma le strade sono bianche, non c’è terra non c’è
sangue, e penso ancora alle parole scritte in alto sul giornale, Chi non ha paura
di morire muore una volta sola…”. La citazione di Giovanni Falcone dona una
“visceralità tutta siciliana” e una decisiva veemenza al testo. La città di Bologna sintetizzata
nella sua piazza principale, Piazza Maggiore, definita dal geniale Lucio Dalla Piazza Grande, in cui persone, vicende,
esperienze si intersecano, sotto gli occhi vividi e attenti di un senzatetto.
Bologna vista da un modenese, come Francesco Guccini, con una lettura del
vivere bolognese, scoprendone il suo lato più umano, “Bologna è una vecchia
signora, dai fianchi un po’ molli, col seno sul piano padano e il culo sui
colli”. Nonostante la storica e tradizionale vivacità culturale, Bologna non si
presta alle etichette, restando così una “provinciale Parigi minore”!
Non
poteva di certo mancare Firenze, in questa rassegna. Datato 1980, Firenze (canzone triste) di Ivan
Graziani è un singolo che racconta di un amore non vissuto o meglio di “una donna da amare in
due”. Da cornice, una Firenze universitaria. Il brano, una delicatissima e
struggente ballata, bellissima nella sua cupezza, si presenta come un dialogo
amaro e malinconico fra il protagonista e il Barbarossa, lo studente irlandese
colpito dalla bella donna tanto contesa (che da lì a poco se ne andrà via da
Firenze) ma oramai in procinto di ritornare anch’egli nelle terre irlandesi.
Cantare le città italiane vuol dire anche Venezia, che a detta di molti, alla bellezza delle sue
architetture, ai canali, all’armonia dell’uomo con il mare, accosta un’aria
drammaticamente malinconia, angosciosa come l’interno di una cattedrale gotica
all’ora del tramonto.
Paolo Conte usa uno spregiudicato liscio per raccontare di
una coppia che si scatta una foto in Piazza San Marco, <col colombo in
man>, per far arrabbiare la cugina che si vantava di essere stata a Venezia
prima di loro. Sono vendicativi i piccolo borghesi, ma hanno ragione:
quell’antipatica della cugina “tutto il viaggio raccontò, quando descrisse
anche il bidet ci siam sentiti come due pezzi da piè”! Una piccola storia
novecentesca, nel brano del 1974, Tua
cugina prima (tutti a Venezia).
Venezia “mi ricorda istintivamente Istanbul, stessi palazzi
addosso al mare, rossi tramonti che si perdono nel nulla”. Così il grande
maestro Franco Battiato ricordava Venezia, in una delle sue numerose perle, un
brano del 1980, Venezia-Istanbul, tratto
dall’album Patriots. E poi D’Annunzio
che monta a cavallo con fanatismo futurista, Socrate che parla delle gioie
dell’amore e gli studenti che gli offrono il corpo, “…e perché il sol
dell’avvenire splenda ancora sulla terra, facciamo un po’ di largo con un’altra
guerra”. Con questi versi, esatti e taglienti, vengono colpite con estrema
sintesi le contraddizioni più eclatanti della morale umana e delle costruzioni
ideologiche, siano esse la Santa Inquisizione o le manifestazioni più tragiche
del socialismo reale, non per le loro innegabili tensioni spirituali, ma per le
loro manifestazioni dogmatiche e violente. Battiato andrebbe studiato a
scuola !!!
Nel 1985 Francesco De Gregori chiude l’album Scacchi e
Tarocchi con l’immagine degli operai che navigano sulle gondole che non si possono
permettere. Un altro miracolo. “E’ una canzone sulla centralità operaia e sul
cinema”, ha detto l’autore, che con il brano Miracolo a Venezia ha voluto parafrasare il capolavoro
cinematografico neorealista del 1951 di Vittorio De Sica, Miracolo a Milano,
con un finale fantastico in cui i barboni volano sopra Piazza Duomo a Milano a
cavallo di scope.
Nel mondo
La musica d’autore italiana ha da sempre subìto il fascino
gotico e misterioso della ville lumière, che ben si presta alle evoluzioni mnemoniche
e linguistiche di affermati interpreti di casa nostra. Parigi
è molto presente nei testi di autori e cantautori che di frequente hanno avuto
il desiderio di cantare molte delle sue numerose facce. Misterioso parallelo
tra una storia d’amore e la città. La Parigi di Vecchioni ha dei forti rimandi
letterari, col brano che assume delle sfumature decadentiste, specie nella
narrazione finale, con la meravigliosa voce di Lucia Poli: “… è tempo di riaccendere le stelle consigliere…Rimbaud veleggerà sui
tetti della città…nuvola artificiale di alluminio…Costruiremo riformatori più
grandi e luminosi….i delinquenti di oggi saranno i dirigenti di domani… la
prima volta che mi uccisi, là, sulle lamiere della tour Eiffel...lo feci per
far rabbia alla mia amante….Ormai sono solo al mondo e se muoio anche io non
avrò più nessuno…”.
Brano autenticamente femminile quello di Grazia Di Michele, Le ragazze di Gauguin. Parigi non viene
menzionata, ma i riferimenti pittorici, cinematografici e della moda rimandano
inevitabilmente alla capitale francese. “...Ballerine
di Degas, bianche nuvole il vento non le scioglierà, le bambine di Renoir,
fiori gialli a Montparnasse...”. Il brano del 1986, è un autentico gioiello
musicale, un quadretto impressionistico in cui ruotano figure femminili
particolari e sicuramente affascinanti. Sullo sfondo, Una eterea Parigi fa da
palcoscenico, sul quale si muovono…le
ragazze di Buñuel freddi angeli, il sole non le
riscalderà, le modelle di Chanel, prigioniere in un atelier…!
Di natura opposta, quasi cialtronesca, è il brano del 1989 Parigi con le gambe aperte di Gino Paoli
e Ricky Gianco. Una perla “alla Charles Bukowski”, quasi un divertissement, che
rende poeticamente carnale la città di Parigi “…e vedo i piccoli caffè svegliarsi sui boulevard, la Senna che
accarezza la città. Il cuore è quasi fermo e non respiro più. Una puttana ride
e noi <bonjour>. Ci avviciniamo in fretta ma lei è già andata via, Parigi
è solamente una bugia ! [….] pensiamo invece a lei, io metterei il suo culo fra
i trofei, un culo bianco e tondo che non finiva mai, degno dei paradisi di
Versailles…Parigi sotto le lenzuola, tu, Parigi con le gambe aperte: la libertà
passa di là, Parigi vuole dire amore…
“E le foglie morte nel vento, tra le pale del
Moulin Rouge, vagano da sempre nel tempo, come le chanteuses a Pigalle…”. Dopo
lo straordinario omaggio a Roma, i Matia Bazar replicano con Parigi (nominando
solo alcuni dei suoi angoli più caratteristici), e il brano Souvenir. Una ballata dal raffinatissimo
gusto francese, dallo stile vagamente retrò, presentata al festival di Sanremo
del 1985.
Nel 1980 i Pooh decidono di omaggiare una delle più belle capitali europee, Vienna, con l’omonimo brano contenuto nell’album Stop. “Donna sul ponte, alla porta dell’est….aria d’argento soffia dall’Ungheria, come un serpente domestico il Danubio va via. Vienna, pastello, cancellami la frontiera, con tutti i voli che partono e ogni treno che va…”. Memoria di una gloria passata, al centro di un grande impero, e oggi città di frontiera, fuori dalle rotte e onesta capitale europea.
Berlino è l’anomalia delle capitali europee: sciatta, struccata,
vestita male, ubriaca, drogata. Eppure tutti la desiderano. E' la città di
tutti, ma a tutti sfugge, non vuole appartenere a nessuno.
Importante piazza, considerato il centro di Berlino Est, crocevia di persone e commerci, Alexanderplatz è la dedica personale del grande Franco Battiato alla città che gli ha rapito il cuore. Portata al successo dalla voce straordinaria di Milva, il testo descrive la solitudine di una città lacerata dal Muro, fredda nel corpo e nell’anima, nell’inverno del 1982. Nel primo incontro con la città Battiato rimase stregato, dal quel giorno senza mai più abbandonarla.
La avanguardistica new wave italiana di Garbo, nel 1981, anno di uscita di A Berlino…va bene, con lo spirito di David Bowie che aleggia, descrive la città nella sua atmosfera invernale, col freddo che spaventa, e sembra che solo il muro non lo senta. Nebbia, fumo, birra, “… a Berlino non penso mai…si può vivere un giorno in più…”.
Brano del 2000, non parla della città, ma di uno dei suoi 12
distretti, Neukölln, uno dei più
particolari, multiculturali, l’antico villaggio boemo della capitale tedesca,
non il più turistico ma sicuramente attraente per i veri intenditori di
Berlino. L’ex frontman dei CCCP Fedeli Alla Linea, Giovanni Lindo Ferretti,
esalta una delle più importanti capitali europee. “dove sono sempre stato, dove
tornerò comunque”.
La parte est di Berlino, quella “comunista”, quando la città
era divisa in due, è stata la meno decantata, visitata, osannata. Nel grigiore
quotidiano le persone, accanto al desiderio di andare “dall’altra parte”,
sapevano al tempo stesso accontentarsi di quel poco di buono che avevano,
lasciando che i propri sogni aiutavano a tenere alti l’interesse e la voglia di
vivere. Lettera da Berlino Est è un
meraviglioso brano dei Pooh, scritto da Stefano D’Orazio nel 1983.
“Segunda-feira de
Lisboa, che nome d’incanto! Qui da noi è lunedì soltanto”. Nel 1996 il grande Battiato
compose questo brano, insieme alla meravigliosa penna di Manlio Sgalambro,
affascinato dalla musicalità della lingua portoghese. L’occhio privilegiato è
per la capitale Lisbona, arrampicata sulle
alture, con il corpo in Europa e la mente oltre Atlantico.
E’ una importantissima arteria di San
Pietroburgo, in italiano Corso della Neva, che parte dalla piazza dove è
situato il Palazzo d’Inverno, e prende il proprio nome dal fiume che attraversa
la città. Ma è anche un capolavoro assoluto di Franco Battiato, che ne ha
descritto le atmosfere del 1917, all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre. Prospettiva Nevskij è l’ennesimo omaggio
che il cantautore ha fatto a uno dei luoghi più cari, tracciandone scorci di
vita quotidiana. […] Seduti sui gradini
di una chiesa, aspettavamo che finisse messa e uscissero le donne, poi
guardavamo con le facce assenti la grazia innaturale di Nijinsky, e di lui si
innamorò perdutamente il suo impresario […] un giorno sulla Prospettiva Nevskj
per caso vi incontrai Igor Stravinsky, e gli orinali messi sotto i letti per la
notte, e un film di Ejzenstejn sulla rivoluzione […] e il mio maestro mi
insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire…! Meravigliosa
anche la versione cantata da Alice.
Extra
Con questa canzone, cantata in duo con Alice, l’Italia partecipò
nel 1984 all’Eurofestival raggiungendo il quinto posto.
La canzone fa riferimento a Tozeur, cittadina tunisina, una delle prime oasi nel deserto
dopo Douz. La città è circondata da un lago salato (cit. «distese di sale…») le
cui esalazioni in estate portano i viandanti a vedere miraggi. Se un tempo si
parlava di carovane nere all’orizzonte oggi quei miraggi possono essere visti
come treni all’orizzonte, I treni di
Tozeur, appunto.
E’ un capolavoro di Eugenio Finardi del 1983, scritta quando
nacque sua figlia Elettra, afflitta dalla Sindrome di Down. Le ragazze di Osaka “sono tutte quelle figlie dai tratti un po’ orientali
dovuti alla sindrome, figlie amate e volute, contro l’indifferenza e
l’ignoranza che ci circonda”. E’ un brano che emerge forte nella sua
produzione, con una melodia che trasuda malinconia, dolore misto a
consapevolezza.
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