sabato 29 maggio 2021

UNA CITTA’ PER CANTARE

 

Il repertorio della canzone italiana, fra le innumerevoli tematiche che ha trattato nei suoi testi, è piuttosto ricco di riferimenti, poetici e non, rivolti a svariate città della penisola, da nord a sud, ma, nel variegato panorama, non mancano “pensieri” rivolti alle più celebri capitali europee.  Questa consuetudine, comune soprattutto nella musica pop americana, affonda le proprie radici nel patrimonio classico, in particolare nella culla della musica popolare italiana, ossia Napoli. Ed è proprio la città di Partenope, insieme a Roma, Milano, Genova, sin dalle origini della musica popolare di largo consenso, tra le destinatarie privilegiate di intense ed eterne composizioni di musica leggera. Nel vasto assortimento musicale è successo che una stessa città sia stata “ricordata” da molteplici interpreti, i quali hanno evidenziato connotazioni diverse, a seconda dell’autore, del genere musicale, del momento storico, degli aspetti che si sono voluti tracciare, delle esperienze personali. Nella maggior parte dei casi il nome della città viene menzionato nel testo, in altri si va a porre l’attenzione su di una via, una piazza o un angolo preciso, in altri ancora è sottinteso, intuibile, concepito fisicamente, oppure funge da metafora, da “spirito-guida”. Probabilmente questo articolo non riuscirà a comprende tutta la produzione musicale italiana dedicata alle città, per questioni di spazio e di opportunità, ma spero di aver elencato almeno quelle tra le più emblematiche. 

In Italia

Abbiamo parlato di Napoli come una delle città più omaggiate dagli artisti delle sette note, e, caso unico, le liriche composte in suo onore sono state quasi sempre in lingua napoletana e composte da napoletani.  La  tradizione, che è iniziata da oltre un secolo e mezzo, ha seguito di pari passo i cambiamenti che ha avuto nel corso degli anni la musica pop-olare: la Napoli delle cartoline, del profumo del mare, della melodia, dei vicoli felicemente e armoniosamente affollati, dei panorami unici ha lasciato dapprima il posto alla Napoli “americana” del boogie e della ricostruzione, dei forestieri, dei personaggi pittoreschi di Renato Carosone e poi, in anni più recenti, la cruda realtà giornaliera ha preso il sopravvento con la rivoluzione afro-jazz-blues del Neapolitan Power, di Napoli Centrale e soprattutto di Pino Daniele. La città del folklore lascia il posto alla quotidianità, alle difficoltà, alle periferie, ai mali che attanagliano le metropoli, mali che a Napoli assumono un dolore particolare. Però, proprio a questi anni appartengono due dei più straordinari brani composti in onore della città: Napul’è, del 1977, vero e proprio inno, un’autentica dichiarazione d’ amore di Pino Daniele e Voglia ‘e turnà, di Teresa De Sio, magica, trasversale, antica e moderna allo stesso tempo, uscita nel 1982. Un decennio più tardi Claudio Mattone ha una geniale intuizione con ‘A città ‘e Pulecenella, in cui, alla bellezza struggente e alla luce intensa del cielo e del mare, si contrappongono il grigiore e lo squallore di corruzione e malaffare. Ma non meno suggestiva è la composizione strumentale di Daniele Sepe, Sacicce e friariell, con le atmosfere serali di una festa patronale di quartiere e la banda musicale come sottofondo, che catturano l’interesse dell’attento ascoltatore.

Su Roma si è scritto e cantato molto. La città eterna si predispone perfettamente alla poesia, specie se fatta in musica, e i suoi figli (e non solo) non hanno tradito l’attesa. Alla poetica di De Gregori, cruda, tagliente, cinica (nel brano Viaggi & Miraggi la definisce “…una cagna in mezzo ai maiali…”), a volte poeticamente disincantata, si contrappone la maestosità dei testi di Venditti, la Roma eterna, unica, la rilettura di quel Roma caput mundi di latina memoria. Emblema di questo approccio poetico è Roma Capoccia, eterno e rinnovato amore per la città. Renato Zero fruga nel pieghe del quotidiano, i suoi personaggi e le sue situazioni borderline animano il quotidiano della capitale, personaggi grotteschi, dimenticati, spesso sconfitti. Franco Califano canta Roma come vissuto personale: i propri incontri, le esperienze, sono la sua ispirazione per descrivere la Roma che lo coccola e lo protegge, nonostante tutto. Ma con la Nevicata del ’56, la mente torna nostalgicamente indietro al dopoguerra, quando la città, priva del traffico, degli spari, della polvere e degli affaristi, ha dato il meglio di sé (….si sentiva soltanto il rumore del fiume la sera…). Da brividi la versione cantata da Mia Martini e portata al Festival di Sanremo del 1990.

Luca Barbarossa, nel 1981, con la sua Roma spogliata, ha una visione più romantica, divisa tra nostalgie e il conto salato che spesso la città ha dovuto pagare. Via Margutta, sempre di Barbarossa, è la città nel particolare, il microcosmo fatto di arte, di botteghe del caffè e di timori per la guerra, per i bombardamenti e i rastrellamenti. Le elegantissime emozioni di una Roma che vuole essere Parigi, dalle forti connotazioni cinematografiche, le cantano i Matia Bazar, con Vacanze Romane, prendendo a prestito il titolo di una celeberrima pellicola holliwoodiana. 1950 per la musica italiana non è solo una semplice data: il capolavoro di Amedeo Minghi si rifà al filone nostalgico di una Roma persa per sempre, quando la città possedeva una vera identità e una unicità che l’hanno proiettata nel mondo.


Milano non è mai stata dei milanesi. I suoi figli prediletti ne hanno cantato il tempo oramai perso, pieno di speranze, di amori e di ringhiere di periferia, meno problematiche e più umane. Jannacci e Gaber docet!   Roberto Vecchioni canta la propria storia, la sua Milano, condensata in un capolavoro, Luci a San Siro, una delle più belle liriche sulla città meneghina, dal fortissimo impatto emotivo. Si spinge oltre Alberto Fortis, piemontese, che negli anni ottanta traccia un irriguardoso parallelo tra la burocratica e farraginosa Roma e la pragmatica Milano, con Milano e Vincenzo, giurando eterno amore alla laboriosa città lombarda e fuggendo dalla sorniona e “traditrice” capitale, che ha tentato di sopprimerlo inesorabilmente. Ma è il grande Lucio Dalla a comporre quella che si può definire la lirica definitiva con Milano, un brano del 1979 che, come spesso è accaduto nella produzione di Dalla, scruta con sbalorditiva lungimiranza il futuro. Con poche pennellate il cantautore descrive una Milano cosmopolita e mondana, moderna e antica, grigia e di una bellezza fiera, proiettata nel cuore dell’Europa e del mondo. Più contemporanea è la visione dei Marta sui Tubi, con Sushi e coca, brano del 2008Giovanni Gulino canta una città in preda alla frenesia, fra droghe, violenza e una efficienza di facciata, una Milano dove non c’è spazio per i fragili, come i vecchi e i bambini, ma solo per l’autodistruzione camuffata da edonismo.     “Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano, a Milano. Senza fiori senza verde, senza cielo senza niente. Fra la gente, tanta gente”. La visione peynetiana di un signore milanese doc come Memo Remigi è prorompente. Nel 1974, fra grandi magazzini, cemento e austerità, la città della Madunina sa anche essere romantica.  Cinquant’anni fa c’era chi parlava di ecologia! Il ragazzo della via Gluck, celeberrimo brano di Adriano Celentano venne presentato al Festival di Sanremo 1966, ma il brano viene eliminato dopo la prima serata (l’intuizione delle giurie sanremesi a volte è commovente!!), ma diventa nel tempo una delle canzoni più note del Molleggiato. Nel testo ci sono molti riferimenti autobiografici, a partire dal titolo: via Gluck è infatti la strada di Milano dove il cantante viveva da ragazzo con la famiglia, notoriamente di origini foggiane.

 


Nel patrimonio culturale e musicale della notevole produzione artistica di Fabrizio De André, non potevano mancare versi dedicati alla propria città, Genova, in cui sono descritti i caruggi, con tutte le loro stranezze e il popolo di quei «quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi, ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi». Faber canta gli ultimi, le "pubbliche mogli", i «ladri, gli assassini e il tipo strano, quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano». E l'invito è a non giudicarli, con uno dei versi che è diventato espressione comune: «Se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo». Singolare è il brano Crêuza de mä, che nel dialetto genovese è una mulattiera, spesso con dei gradoni sconnessi, che sale verso la collina. Chi guarda Genova sappia che Genova si vede solo dal mare, quindi non stia lì ad aspettare di vedere qualcosa di meglio, qualcosa di più, di quei gerani che la gioventù fa ancora crescere nelle strade! Sono nitide le parole di Ivano Fossati, in una composizione del 1988, in cui si lascia intendere che Genova può essere cantata solo dai genovesi. “Se questi muri sapessero parlare anche le strade potrebbero arrossire, se questa gente avesse la pianura chiusa, Genova….io questa notte ho voglia di cantare…..”. Componimento marcatamente blues di Francesco Baccini, genovese, genoano, che nel 1990 scrisse questa singolare Genova blues!, ad arricchire il già cospicuo patrimonio musicale della Superba. Paradossalmente, l’omaggio di un avvocato piemontese, Paolo Conte, è uno di quelli destinati a rimanere impresso nella memoria della storia della musica italiana: una poesia che è un inno d'amore alla sua maniera, scritta nel 1975, Genova per noi racconta di chi sta "in fondo alla campagna" (il cantautore è di Asti) e va nel capoluogo ligure a cercare un po' di sole. Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che abbiamo noi prima di andare a Genova….«Eppur parenti siamo in po' di quella gente che c'è lì, che come noi è forse un po' selvatica, ma la paura che ci fa quel mare scuro e che si muove anche di notte non sta fermo mai». E poi Genova «macaia, scimmia di luce e di follia, foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia».“ Personalmente.. non aggiungerei altro….!!!

La bellissima e soleggiata Catania, città di numerosi artisti, protetta dal vulcano caldo e irrequieto come la terra che lo ospita, rimane sempre nei cuori dei suoi figli, anche quando questi si allontanano da lei. Nel brano di Carmen Consoli In bianco e nero la cantantessa recita “…nitido scorcio degli anni 60 di una raggiante Catania […]” tracce del ricordo della madre, di quando la città era soprannominata la Milano del Sud, vitale, dinamica, opulenta. Poi sono arrivate la mafia e la malapolitica…Ma questa è un’altra storia! Nostalgia della propria terra, nel brano Ma non ho più la mia città di Gerardina Trovato, “… venne il giorno che le dissi, tu Catania non mi basti, dei miei sogni che ne hai fatto, me li hai chiusi in un cassetto…”.  Ma una volta lontana, può constatare che, “…dove vivo non c’è il mare, sulle case sempre neve, solo nebbia e vento freddo, sopra il grano scende pioggia, ma le strade sono bianche, non c’è terra non c’è sangue, e penso ancora alle parole scritte in alto sul giornale, Chi non ha paura di morire muore una volta sola…”. La citazione di Giovanni Falcone dona una “visceralità tutta siciliana” e una decisiva veemenza al testo. La città di Bologna sintetizzata nella sua piazza principale, Piazza Maggiore, definita dal geniale Lucio Dalla Piazza Grande, in cui persone, vicende, esperienze si intersecano, sotto gli occhi vividi e attenti di un senzatetto. Bologna vista da un modenese, come Francesco Guccini, con una lettura del vivere bolognese, scoprendone il suo lato più umano, “Bologna è una vecchia signora, dai fianchi un po’ molli, col seno sul piano padano e il culo sui colli”. Nonostante la storica e tradizionale vivacità culturale, Bologna non si presta alle etichette, restando così una “provinciale Parigi minore”!

 Non poteva di certo mancare Firenze, in questa rassegna.  Datato 1980, Firenze (canzone triste) di Ivan Graziani è un singolo che racconta di un amore non vissuto o meglio di “una donna da amare in due”. Da cornice, una Firenze universitaria. Il brano, una delicatissima e struggente ballata, bellissima nella sua cupezza, si presenta come un dialogo amaro e malinconico fra il protagonista e il Barbarossa, lo studente irlandese colpito dalla bella donna tanto contesa (che da lì a poco se ne andrà via da Firenze) ma oramai in procinto di ritornare anch’egli nelle terre irlandesi.

Cantare le città italiane vuol dire anche Venezia, che a detta di molti, alla bellezza delle sue architetture, ai canali, all’armonia dell’uomo con il mare, accosta un’aria drammaticamente malinconia, angosciosa come l’interno di una cattedrale gotica all’ora del tramonto.

Paolo Conte usa uno spregiudicato liscio per raccontare di una coppia che si scatta una foto in Piazza San Marco, <col colombo in man>, per far arrabbiare la cugina che si vantava di essere stata a Venezia prima di loro. Sono vendicativi i piccolo borghesi, ma hanno ragione: quell’antipatica della cugina “tutto il viaggio raccontò, quando descrisse anche il bidet ci siam sentiti come due pezzi da piè”! Una piccola storia novecentesca, nel brano del 1974, Tua cugina prima (tutti a Venezia).

Venezia “mi ricorda istintivamente Istanbul, stessi palazzi addosso al mare, rossi tramonti che si perdono nel nulla”. Così il grande maestro Franco Battiato ricordava Venezia, in una delle sue numerose perle, un brano del 1980, Venezia-Istanbul, tratto dall’album Patriots. E poi D’Annunzio che monta a cavallo con fanatismo futurista, Socrate che parla delle gioie dell’amore e gli studenti che gli offrono il corpo, “…e perché il sol dell’avvenire splenda ancora sulla terra, facciamo un po’ di largo con un’altra guerra”. Con questi versi, esatti e taglienti, vengono colpite con estrema sintesi le contraddizioni più eclatanti della morale umana e delle costruzioni ideologiche, siano esse la Santa Inquisizione o le manifestazioni più tragiche del socialismo reale, non per le loro innegabili tensioni spirituali, ma per le loro manifestazioni dogmatiche e violente. Battiato andrebbe studiato a scuola !!!

Nel 1985 Francesco De Gregori chiude l’album Scacchi e Tarocchi con l’immagine degli operai che navigano sulle gondole che non si possono permettere. Un altro miracolo. “E’ una canzone sulla centralità operaia e sul cinema”, ha detto l’autore, che con il brano Miracolo a Venezia ha voluto parafrasare il capolavoro cinematografico neorealista del 1951 di Vittorio De Sica, Miracolo a Milano, con un finale fantastico in cui i barboni volano sopra Piazza Duomo a Milano a cavallo di scope.

                                                             

Nel mondo


La musica d’autore italiana ha da sempre subìto il fascino gotico e misterioso della ville lumière, che ben si presta alle evoluzioni mnemoniche e linguistiche di affermati interpreti di casa nostra. Parigi è molto presente nei testi di autori e cantautori che di frequente hanno avuto il desiderio di cantare molte delle sue numerose facce. Misterioso parallelo tra una storia d’amore e la città. La Parigi di Vecchioni ha dei forti rimandi letterari, col brano che assume delle sfumature decadentiste, specie nella narrazione finale, con la meravigliosa voce di Lucia Poli: “… è tempo di riaccendere le stelle consigliere…Rimbaud veleggerà sui tetti della città…nuvola artificiale di alluminio…Costruiremo riformatori più grandi e luminosi….i delinquenti di oggi saranno i dirigenti di domani… la prima volta che mi uccisi, là, sulle lamiere della tour Eiffel...lo feci per far rabbia alla mia amante….Ormai sono solo al mondo e se muoio anche io non avrò più nessuno…”.

Brano autenticamente femminile quello di Grazia Di Michele, Le ragazze di Gauguin. Parigi non viene menzionata, ma i riferimenti pittorici, cinematografici e della moda rimandano inevitabilmente alla capitale francese. “...Ballerine di Degas, bianche nuvole il vento non le scioglierà, le bambine di Renoir, fiori gialli a Montparnasse...”. Il brano del 1986, è un autentico gioiello musicale, un quadretto impressionistico in cui ruotano figure femminili particolari e sicuramente affascinanti. Sullo sfondo, Una eterea Parigi fa da palcoscenico, sul quale si muovono…le ragazze di Buñuel freddi angeli, il sole non le riscalderà, le modelle di Chanel, prigioniere in un atelier…!

Di natura opposta, quasi cialtronesca, è il brano del 1989 Parigi con le gambe aperte di Gino Paoli e Ricky Gianco. Una perla “alla Charles Bukowski”, quasi un divertissement, che rende poeticamente carnale la città di Parigi “…e vedo i piccoli caffè svegliarsi sui boulevard, la Senna che accarezza la città. Il cuore è quasi fermo e non respiro più. Una puttana ride e noi <bonjour>. Ci avviciniamo in fretta ma lei è già andata via, Parigi è solamente una bugia ! [….] pensiamo invece a lei, io metterei il suo culo fra i trofei, un culo bianco e tondo che non finiva mai, degno dei paradisi di Versailles…Parigi sotto le lenzuola, tu, Parigi con le gambe aperte: la libertà passa di là, Parigi vuole dire amore…

“E le foglie morte nel vento, tra le pale del Moulin Rouge, vagano da sempre nel tempo, come le chanteuses a Pigalle…”. Dopo lo straordinario omaggio a Roma, i Matia Bazar replicano con Parigi (nominando solo alcuni dei suoi angoli più caratteristici), e il brano Souvenir. Una ballata dal raffinatissimo gusto francese, dallo stile vagamente retrò, presentata al festival di Sanremo del 1985.

Parigi con le gambe aperte - Gino Paoli e Ricky Giango


Le ragazze di Gauguin

Nel 1980 i Pooh decidono di omaggiare una delle più belle capitali europee, Vienna, con l’omonimo brano contenuto nell’album Stop. “Donna sul ponte, alla porta dell’est….aria d’argento soffia dall’Ungheria, come un serpente domestico il Danubio va via. Vienna, pastello, cancellami la frontiera, con tutti i voli che partono e ogni treno che va…”. Memoria di una gloria passata, al centro di un grande impero, e oggi città di frontiera, fuori dalle rotte e onesta capitale europea.

Berlino è l’anomalia delle capitali europee: sciatta, struccata, vestita male, ubriaca, drogata. Eppure tutti la desiderano. E' la città di tutti, ma a tutti sfugge, non vuole appartenere a nessuno.

Importante piazza, considerato il centro di Berlino Est, crocevia di persone e commerci, Alexanderplatz è la dedica personale del grande Franco Battiato alla città che gli ha rapito il cuore.  Portata al successo dalla voce straordinaria di Milva, il testo descrive la solitudine di una città lacerata dal Muro, fredda nel corpo e nell’anima, nell’inverno del 1982. Nel primo incontro con la città Battiato rimase stregato, dal quel giorno senza mai più abbandonarla.

La avanguardistica new wave italiana di Garbo, nel 1981, anno di uscita di A Berlino…va bene, con lo spirito di David Bowie che aleggia, descrive la città nella sua atmosfera invernale, col freddo che spaventa, e sembra che solo il muro non lo senta. Nebbia, fumo, birra, “… a Berlino non penso mai…si può vivere un giorno in più…”.

Brano del 2000, non parla della città, ma di uno dei suoi 12 distretti, Neukölln, uno dei più particolari, multiculturali, l’antico villaggio boemo della capitale tedesca, non il più turistico ma sicuramente attraente per i veri intenditori di Berlino. L’ex frontman dei CCCP Fedeli Alla Linea, Giovanni Lindo Ferretti, esalta una delle più importanti capitali europee. “dove sono sempre stato, dove tornerò comunque”.

La parte est di Berlino, quella “comunista”, quando la città era divisa in due, è stata la meno decantata, visitata, osannata. Nel grigiore quotidiano le persone, accanto al desiderio di andare “dall’altra parte”, sapevano al tempo stesso accontentarsi di quel poco di buono che avevano, lasciando che i propri sogni aiutavano a tenere alti l’interesse e la voglia di vivere. Lettera da Berlino Est è un meraviglioso brano dei Pooh, scritto da Stefano D’Orazio nel 1983.


Alexanderplatz - Milva (Battiato)

“Segunda-feira de Lisboa, che nome d’incanto! Qui da noi è lunedì soltanto”. Nel 1996 il grande Battiato compose questo brano, insieme alla meravigliosa penna di Manlio Sgalambro, affascinato dalla musicalità della lingua portoghese. L’occhio privilegiato è per la capitale Lisbona, arrampicata sulle alture, con il corpo in Europa e la mente oltre Atlantico.

E’ una importantissima arteria di San Pietroburgo, in italiano Corso della Neva, che parte dalla piazza dove è situato il Palazzo d’Inverno, e prende il proprio nome dal fiume che attraversa la città. Ma è anche un capolavoro assoluto di Franco Battiato, che ne ha descritto le atmosfere del 1917, all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre. Prospettiva Nevskij è l’ennesimo omaggio che il cantautore ha fatto a uno dei luoghi più cari, tracciandone scorci di vita quotidiana. […] Seduti sui gradini di una chiesa, aspettavamo che finisse messa e uscissero le donne, poi guardavamo con le facce assenti la grazia innaturale di Nijinsky, e di lui si innamorò perdutamente il suo impresario […] un giorno sulla Prospettiva Nevskj per caso vi incontrai Igor Stravinsky, e gli orinali messi sotto i letti per la notte, e un film di Ejzenstejn sulla rivoluzione […] e il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire…! Meravigliosa anche la versione cantata da Alice.

Extra

Con questa canzone, cantata in duo con Alice, l’Italia partecipò nel 1984 all’Eurofestival raggiungendo il quinto posto.

La canzone fa riferimento a Tozeur, cittadina tunisina, una delle prime oasi nel deserto dopo Douz. La città è circondata da un lago salato (cit. «distese di sale…») le cui esalazioni in estate portano i viandanti a vedere miraggi. Se un tempo si parlava di carovane nere all’orizzonte oggi quei miraggi possono essere visti come treni all’orizzonte, I treni di Tozeur, appunto.

 Da ricordare gli omaggi di Marcella Bella a Rio de Janeiro, brano del 1981, e di Grazia di Michele, che nel 1990 compose la stupenda Bahia, entrambe suonate strizzando l’occhio ai ritmi samba brasiliani.

 E’ un capolavoro di Eugenio Finardi del 1983, scritta quando nacque sua figlia Elettra, afflitta dalla Sindrome di Down. Le ragazze di Osaka “sono tutte quelle figlie dai tratti un po’ orientali dovuti alla sindrome, figlie amate e volute, contro l’indifferenza e l’ignoranza che ci circonda”. E’ un brano che emerge forte nella sua produzione, con una melodia che trasuda malinconia, dolore misto a consapevolezza.

 

 


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