domenica 26 gennaio 2014

ANTONIO ZICOLILLO


 








Secondo memorial Antonio Zicolillo
al pari del Concerto d’Epifania, anche il Memorial Antonio Zicolillo intende proseguire quello che molto presumibilmente ambisce a diventare un appuntamento classico degli eventi culturali di Orta Nova. A giudicare dalla presenza degli ospiti,  sul palco del Cine Teatro Cicolella, la via intrapresa è quella giusta, anche per la risposta del pubblico ortese, come al solito numeroso, contento di assistere a una serata di musica live sempre entusiasmante. Se poi l’evento, oltre a ricordare quell’appassionato ed instancabile musicista che è stato Antonio Zicolillo, ha avuto uno scopo benefico (l’incasso è stato interamente devoluto alla Caritas cittadina), la presenza di un folto pubblico è stata ancora più utile e gradita. È bene ribadire come tutte le performances siano state all’altezza dell’evento, cosa che ha letteralmente catturato l’attenzione del pubblico, i cui sentimenti sono stati divisi a metà tra stupore e commossa nostalgia, tra nuove proposte musicali e nel ricordo di un pioneristico mondo musicale di cinquant’anni fa, mosso dalla passione, dall’ utopia e da forti ideali. L’evento è stato anche caratterizzato da simpatici siparietti e da eccezionali partecipazioni, come quelle di Valerio Zelli, stimato autore e voce del gruppo degli ORO e l’inossidabile Rino Di Mopoli, già componente dei Delirium di Ivano Fossati, nei lontani anni ‘70. La conduzione, come sempre eccellente, è stata del compagno Pino Balestrieri, sempre disponibile e impeccabile quando viene chiamato in causa. L’auspicio per l’edizione 2015 è quello di una ulteriore evoluzione della rassegna, magari un palcoscenico aperto a tutti coloro, anche alle prime armi, che si sentono la “musica dentro”, che possa costituire una  fucina per le nuove generazioni di musicisti del comprensorio dei Cinque Reali Siti e delle vicine Cerignola ed Ascoli Satriano.
Per leggere un altro articolo sul Memorial Antonio Zicolillo:

domenica 19 gennaio 2014

New Yort Band

SECONDO CONCERTO D’EPIFANIA
Se la prima edizione è stata sorprendente, la seconda sarà memorabile! Il concerto della New Yort Band tenutosi la sera del 4 gennaio, presso il Cine Teatro Cicolella di Orta Nova, sicuramente sarà ricordato a lungo dagli spettatori che hanno gremito gli spalti del capiente teatro ortese. Rispetto alla prima edizione, la qualità dello spettacolo e della musica  sono notevolmente cresciuti.  Inoltre la presenza di un ospite illustre della terra di Capitanata ha ulteriormente contribuito a richiamare  l’attenzione su questo bellissimo evento, che, come speriamo anche per i prossimi anni, arriva a concludere nel migliore dei modi le festività natalizie. La musica della New Yort Band ha fatto sì che la serata scivolasse via in maniera leggera e la presenza sul palco di Tony Santagata, precursore della diffusione della musica folk, oggi tanto di moda, ha impreziosito la già notevole prestazione dell’intera big band ortese. Interessanti le voci de due vocalist, Lucia Tanzi, con la sua potente black voice e Mino Bozza, preso in prestito dagli Alma, che ha dato un’iniezione di freschezza e di dinamicità, il tutto sotto la sapiente regia di Franco Ariemme. Quello della New Yort Band è un progetto davvero importante e l’evoluzione che questo ensemble sta vivendo è tangibile ad ogni esibizione. Inoltre la trovata di esibirsi con ospiti esterni, veri e propri special guest, durante la serata, è apparsa interessante e proficua, un modo per tenere viva e accesa l’attenzione per l’intero concerto, esperimento che spero continui per le prossime uscite della big band di Orta Nova.
Per leggere un altro articolo sulla New Yort Band andare indietro con i post in ultima pagina, oppure selezionare di fianco, l'archivio blog - 2013, Marzo.

mercoledì 1 gennaio 2014

ROMANZO DI CAPITANATA


"Quando la mattina del 29 agosto del 1900 il custode del piccolo cimitero di Carapelle aprì il cancello, si diresse verso il muro di cinta per terminare un lavoro di riparazione iniziato il giorno precedente. Passando davanti alla maestosa e decaduta cappella della famiglia Guarniello, oramai abbandonata da decenni, non poté fare a meno di notare la porta aperta: guardando attentamente, notò, in fondo alla scalinata, un uomo rannicchiato proprio davanti alla cancellata che inibiva l'ingresso alle tombe. Era il corpo esanime del "francese", che nei giorni precedenti era stato visto vagare per le vie del paese, vestito da mendicante e dall'aspetto trasandato, che, con un aria smarrita, ma allo stesso tempo curiosa, girovagava lungo le vie che circondano il palazzo Guarniello, al centro del paese, divenuto nel frattempo sede dell'autorità cittadina". 
La provincia di Foggia è stata da sempre oggetto di numerose pubblicazioni, in maggioranza guide e saggi, che hanno avuto l'obiettivo di risaltare i suoi svariati aspetti, da quelli storici a quelli turistici, paesaggistici ed enogastronomici di questa semisconosciuta terra. Raramente questo immenso territorio ha costituito una vera  ambientazione per vicende romanzesche, anche se negli ultimi tempi è in atto una timida riscoperta da parte del cinema, di produzioni di video musicali e di qualche coraggioso romanziere. Il carapellese Michele Mansolillo, col suo bel romanzo “il solco dei Guarniello”, ambientato entro i confini della provincia di Capitanata, ha colto questa possibilità, grazie alle pagine di un interessante romanzo storico, che ripercorre le vicende della famiglia Guarniello. Una bella opera, davvero convincente, che a tratti ha tutta l’aria di un avvincente thriller, diviso fra una saga familiare e torbide storie di spionaggio, quindi le giuste credenziali per coinvolgere un grande pubblico. L’opera costituisce un autentico spaccato della società meridionale e contadina antecedente l’unificazione d’Italia. Anche la terminologia, per alcuni tratti gergale, con numerosi spunti dialettali che ne accentuano la territorialità, è indovinata, soprattutto nella prima parte del romanzo, quando le trame si svolgono prevalentemente nella campagna dauna. Poi il romanzo assume una prospettiva più ampia, andandosi ad intersecare con le vicende risorgimentali, in atto negli anni in cui l'opera è ambientata. In seguito a un tragico episodio avvenuto nelle vicinanze della loro abitazione di Panni, sul Subappennino, questi umili contadini vedono cambiare il destino della propria esistenza, con degli sviluppi davvero eclatanti e positivi per l’economia della  famiglia. Il tutto si svolge agli inizi dell’Ottocento, in pieno Regno Borbonico, epoca che offre all’attento lettore svariati ed interessanti spunti che meritano ulteriori approfondimenti. Mansolillo  ripercorre le orme del romanzo storico, ossia vicende particolari di una famiglia che si vanno ad intrecciare con i grandi temi della storia,  idea che irrobustisce la trama e che permette allo scrittore di intersecare le vicende del meridione pre-unitario al piccolo ambiente contadino di provincia, col suo linguaggio, le sue consuetudini e le sue tradizioni.  L’aver tratto in salvo il giudice Larovere, di ritorno da Napoli e diretto a Trani, cambia il destino della famiglia, in quanto l’alto funzionario, per ricompensare la protezione offertagli, al riparo dai banditi e dalla morte, concede ai Guarniello la gestione di una vasta proprietà, che da Deliceto si spinge fino al Tratturo Regio, nei pressi di Carapelle. Qui la famiglia si stabilisce, in un sontuoso palazzo signorile, divenendo di fatto grande proprietaria terriera, e quindi protagonista influente del destino del piccolo villaggio. Ma è qui che succedono anche diverse vicende tragiche, come nella migliore tradizione verista, di verghiana memoria, con un richiamo alle grandi saghe familiari. Nella seconda parte del romanzo, l’attenzione dell’autore si sposta sul nipote del capostipite Ciriaco Guarniello, che porta lo stesso nome del nonno e sul quale vengono riposte le aspettative di riscatto, affinché la grande famiglia sopravviva agli anni e alla tragicità degli eventi. Il piccolo Ciriaco, dapprima destinato alla “carriera” episcopale, negli anni dell’università svolta verso uno stile di vita più “spensierato” e mondano: egli si trasferisce nella capitale Napoli, dalla quale viene folgorato, sopraffatto dalle occasioni e dalle possibilità che la grande città gli concede. È il suo personale atto d’amore verso la splendida capitale che lo ha accolto tra le sue possenti braccia. Diventa un dandy e poco si accorge dei gravi sconvolgimenti che l’intero Regno sta per vivere. Tra le tante donne, conosce e si innamora di Mildred, una conturbante inglesina, dall’aria elegante e disincantata, che ben celano la sua vera missione nella città partenopea: quella di spia inglese che, con numerosi suoi amici connazionali, sta tramando per la caduta della dinastia dei Borbone, per ordine della corona inglese e del suo famigerato ministro degli esteri, il gran maestro di massoneria, Lord Gladstone. Il romanzo assume la connotazione di opera letteraria antirisorgimentale e l’autore prende questa coraggiosa posizione non per partito preso, ma dopo attenta e doverosa documentazione presso svariati archivi, compreso quello nazionale di Vienna. La narrazione è molto scorrevole, avvincente e tratta con doverosa arguzia il clima che si respirava in quegli anni: dopo la morte di Re Ferdinando II di Borbone, il Regno passa nelle mani di Francesco II e per gli inglesi e i piemontesi era giunto il momento di agire. Ciriaco frequenta assiduamente gli ambienti della “diplomazia” anglosassone, scoprendo le trame subdole, il freddo pragmatismo e il cinismo che alberga in questi cospiratori venuti da lontano, il loro poco rispetto verso la Corona Borbonica e di riflesso verso la sua terra, la sua religione e la sua gente: si ribella al progetto che sta per capovolgere la sua stessa esistenza, ma, scoperto, per evitare tragiche conseguenze, è costretto a fuggire in Francia, poiché la “perfida albione” difficilmente tollera gli ostacoli ai propri progetti e ai disegni di conquista e sopraffazione. È l’anno 1861, quando tutto il meridione inizia a vivere il suo status di colonia, di cui ancora oggi per inerzia ne porta il fardello, con il destino di miseria a cui il Piemonte prima, e l’Italia dopo, gli hanno riservato. Ciriaco Guarniello torna a Carapelle nel 1900, solo  per scoprire la propria sconfitta, mentre la morte lo attendeva poco fuori la cappella di famiglia, nel cimitero della cittadina. Egli  aveva ricevuto grandi benefici dal Regno, ma non è stato capace di difenderlo quando era il momento, di restituirgli con riconoscenza un po’della sua “fortuna”. La sua fine desolante è parallela a quella di tutto il Mezzogiorno, la morte civile che aspetta ancora il suo riscatto.