giovedì 25 maggio 2023

COSA RESTERA’ DEGLI ANNI OTTANTA

 Tutto si può dire tranne che gli anni ottanta fossero banali.

Invadenti, colorati, chiassosi, colmi di cianfrusaglie, oggetti più o meno utili, di musica per tutti i gusti, di qualità o da dimenticare, di mode e di usi che oggi fanno sorridere.

Però tutto ha una ragione, un inizio; le parole di un figlio degli anni ottanta cercano di darne una spiegazione. Nel suo film documentario, Roma Caput Disco, uscito nel 2021, Jovanotti dichiara: ‹‹questi anni Ottanta, spesso giudicati vuoti, sono stati in realtà anni di grande esplosione creativa, anni di ricerca, in cui si è sperimentata una nuova idea di libertà. Dopo l’idea di libertà che hanno cercato gli anni Settanta attraverso l’ideologia e l’uso politico della violenza, negli anni Ottanta tutto questo venne rifiutato. Nessuno più voleva sentire parlare di terrorismo e di Rivoluzione con il tono polveroso e sanguinario che purtroppo il termine aveva assunto. Dopo la Roma degli attentati, delle stragi, delle serrande abbassate la mia generazione ha rifiutato tutto questo. Ma non vuol dire che abbiamo cercato il vuoto, abbiamo cercato altro: la vita, la sensualità, il colore. A una Roma cupa nella quale eravamo cresciuti abbiamo risposto con il colore, la pazzia, il divertimento, il far tardi. Ma non fare tardi per parlare di cambiare il mondo, bensì cambiandolo, vivendolo, divertendoci, andare a cercare il ritmo delle cose, l’esperienza. Quelli sono stati gli anni della nostra formazione ››. E puntualmente gli anni ottanta si sono trascinati con se un enorme e capiente baule di ricordi. Per chi era bambino torneranno in mente cartoni animati, merendine e marche di giocattoli; per chi era adulto, ricorderà epici eventi sportivi e modelli di auto che oggi non esistono più; invece per chi, come me, era già un ragazzo i ricordi si concentrano sui film americani, band musicali, dischi in vinile e le questioni di look!

Proprio il look (termine inglese molto in voga in quegli anni) è stato uno dei crucci degli anni ottanta, che, lungi dall’essere una semplice scelta di capi di abbigliamento da indossare, ha costituito una vera e propria filosofia di vita, quasi una questione di vita o di morte!

Così come Dante ha suddiviso i peccatori in gironi nel suo Inferno, o come la società indiana era divisa in caste, allo stesso modo la gioventù degli anni ottanta aveva le sue specifiche categorie in fatto di abbigliamento e di conseguente affiliazione a stili di vita e tendenze musicali. Sembrava che nessuno si poteva permettere di essere banalmente normale, specie se si viveva in città, nella grande città.

Eppure, anche per quelli che si volevano tirare fuori da qualsivoglia catalogazione, esisteva una categoria, che non si rifaceva ad alcuno dei dress code che determinati gruppi imponevano, che giustappunto erano definiti i normali, e, loro malgrado, destinati all’oblio e al disinteresse da parte dei mass media e di chi cercava qualcosa di speciale!

Dei singolari fenomeni di costume che andiamo ad illustrare, che sono stati tipici di quegli anni e che li hanno addirittura forgiati, cercheremo di scoprire qualcosa di più,  per semplice curiosità e per capire perché gli anni ottanta, sotto certi aspetti, sono stati originali e irripetibili. In ogni modo quelli che analizzeremo sono solo i due filoni che, secondo me,  hanno segnato indelebilmente il decennio e che di fatto non sono sopravvissuti ad esso, a differenza di altre tendenze che invece hanno continuato ad esistere oltre gli ottanta.


La rassegna inizia con la moda Gotica, comunemente definita dark, che ha visto la sua prima affermazione verso la fine dei ’70 per poi diffondersi ampiamente lungo tutti gli ottanta. Da  molti considerata affascinante, misteriosa, ermetica, dalla forte connotazione romantico/letteraria, è stato un fenomeno prettamente europeo, e in molti casi andava oltre l’abbigliamento o il semplice apparire, ma assurgeva a particolare visione della realtà, con atteggiamenti distaccati e critici verso il materialismo e la superficialità della società. Ispirata alla letteratura ottocentesca inglese, così come molti dettagli e accessori dell’abbigliamento, di chiara fattura vittoriana, i seguaci di questa filosofia tendevano ad isolarsi e a ritrovarsi in luoghi culturali e monumenti molto evocativi della propria città. La caratteristica più evidente è la tendenza ad usare il colore nero, abbigliamento stereotipato come dark (da cui il nome col quale era conosciuta in Italia), oscuro, a volte morboso, erotico. Questa “moda” includeva specifici particolari, come lo smalto nero, rossetto nero, vestiti tendenzialmente dello stesso colore, accessori metallici rigorosamente argentati, croci, capelli esclusivamente neri. Lo stile spesso riproduceva la moda romantica dell’ottocento, ma non mancavano riferimenti al punk, che faceva sentire ancora la sua forte influenza. Se l’abbigliamento era importante, non meno rilevante erano le letture di autori di ispirazione horror, noir e decadentista. E poi la musica: gli anni ottanta hanno visto l’esplosione del genere gothic nella produzione musicale, quasi prevalentemente di marca anglosassone, e i vinili di formazioni come i Cure, Bauhaus, Killing Joke, Dead can Dance, Joy Division, Siouxsie and Banshees, Cult, Theatre of Hate non potevano mancare dagli scaffali di qualsiasi dark, italiano o inglese che fosse.






















L’altra tendenza decisamente ottantina è nata e si è diffusa solo in Italia, per la precisione a Milano, dove ha preso il via verso la metà del decennio, per poi diffondersi lungo lo stivale, anche se talvolta con marcate differenze e più legata alla specificità della città in cui si manifestava. I paninari hanno visto l’embrione della loro esistenza in piazza San Babila, dove esisteva una nutrita presenza di paninoteche. La leggenda vuole che la vera genesi del movimento sia avvenuta in uno specifico bar, Al Panino (da cui la denominazione), di Piazza Liberty, sempre a Milano.

Ma è fuori dubbio che il punto di ritrovo ufficiale sia stato uno dei primi fast food di marca italiana, il Burghy di piazza San Babila, vero e proprio luogo “mitologico” dove l’immaginario e la narrazione dei paninari sono diventati letteratura giovanile.


Il movimento paninaro fu una ingenua e colorata degenerazione della tendenza giovanile legata a quell’ondata di riflusso e disimpegno che seguì gli anni settanta (così come è affermato nella dichiarazione di Jovanotti ad inizio articolo). Esso si basava su uno stile di vita fondato sull’apparenza e sul consumo e coinvolse ogni aspetto della vita quotidiana. L’ossessione per il possesso, per l’abbigliamento griffato, per le vacanze, per il successo erano codice di comportamento per qualsiasi paninaro. Questa parte di gioventù era l’autentica espressione di quell’edonismo reganiano (termine coniato da Roberto D’Agostino), che con le sue mode americane e i suoi modelli esistenziali influenzò fortemente parte della società italiana di quegli anni. Gli spot pubblicitari delle neonate tv commerciali e il cinema americano, nonché l’ampia diffusione di musica commerciale, fecero da veicolo a questa nuova, dinamica e, come si scoprirà più tardi, passeggera tendenza.

Le regole ferree del movimento imponevano un rigido e specifico dress code fatto di marchi piuttosto costosi, che di fatto determinavano una netta selezione tra i paninari. Nel guardaroba, tra gli altri, non potevano mancare assolutamente i jeans della Levi’s, i piumini Moncler, le felpe Best Company e cintura rigorosamente El Charro. Fortemente identificative del periodo, le scarpe Timberland, sia il modello Chukka, alto alla caviglia, che le classiche stringate da barca, da indossare con calze a vista, a rombi o bianche. Altro capo tipico era il giubbotto di pelle con collo in pelliccia di pecora. A completare l’opera, per i ragazzi era d’obbligo lo zaino Invicta, mentre le ragazze paninare andavano matte per la borsa postina della Naj-Oleari. Altro cult per le ragazze i paraorecchie di pelo, con cuffiette del walkman annesse.


I paninari, oltre che per l’abbigliamento si sono contraddistinti per aver coniato un complesso e incomprensibile slang, che, anche in questo caso, poteva cambiare a seconda della città di provenienza. A Milano, ad esempio...:

al brucio = alla massima velocità;  cifra = tanto (mi piace una cifra);
cinese = studente di sinistra;  cucador = il macho;  company = la compagnia;
cuccare = conquistare una sfitinzia; everyday = sempre;
fuori di melone, fuori = matto, fuori di testa;  gallo = ragazzo; gino = lo sfigato;
giusto = ottimo, secondo l’ideologia paninara (troppo giusto!); grano = denaro;
kiss = bacio (anche kissetti e kissettini e kissettoni); libidine = piacere, godimento; panozzo = panino; sapiens = i genitori; sballo = ciò che diverte (si usa ancora oggi); sfitinzia = ragazza; tamarro = un non paninaro, rozzo;
tarocco = falso, imitazione; very arrapation = sexy; very original = originale.

Un movimento così strutturato non poteva non attirare l’attenzione, oltre che dei già citati brand di abbigliamento, anche dell’editoria per giovani. Negli anni ottanta si assistette ad un vero e proprio boom di pubblicazioni: nella tasca del Moncler di ogni paninaro doc non poteva mancare l’ultimo numero di una delle tante riviste dedicate, fra le quali le più in voga erano Paninaro, per lui, e Preppy, per lei,  ma anche Sfitty, Il Cucador e Zippo Panino andavano forte. Queste riviste erano ricche di consigli per essere sempre al passo con i tempi: moda, musica, galateo, programmi tv, bellezza e soprattutto la posta del cuore!




                     
                                                                                                                                                                                                    


















Il mondo musicale vicino alla filosofia paninara era piuttosto variegato, anche se tendenzialmente si preferiva il genere synth pop e new romantic: Depeche Mode, Alphaville, Righeira, Sandy Marton, Spandau Ballet, Duran Duran, Pet Shop Boys, Sabrina Salerno, Propaganda, Tracy Spencer, Howard Jones, Bronski Beat, per citarne alcuni.

Sempre dal mondo dei paninari, nel 1985, nasce un vero e proprio caso editoriale, con la pubblicazione di un diario/romanzo ad opera di Clizia Gurrado, una giovane studentessa di Milano. Il titolo del best seller è Sposerò Simon Le Bon ed è diventato un vero e proprio cult giovanile, e, anche a distanza di quasi quarant’anni, è considerato fortemente identificativo di un epoca. Come se non bastasse, dal romanzo è stato tratto un film, con lo stesso titolo del libro e uscito nelle sale nel 1986. Sia il libro che il film ebbero grande risalto sulla stampa e nella televisione italiana e costituiscono una testimonianza autentica di quello che era il mondo dei paninari milanesi dell’epoca.

Curiosa fu anche la scelta del duo inglese dei Pet Shop Boys di pubblicare un brano dal titolo Paninaro, a seguito di un tour di presentazione di un loro lavoro, che fece tappa proprio a Milano. Il video del brano fu girato per le strade della città e nei punti aggregativi dei paninari, che tanto interesse aveva suscitato nei due musicisti d'oltre Manica.



 

 

 

 

 

giovedì 4 maggio 2023