domenica 29 luglio 2018

CANZONI PER IL “CHE”



Il 14 giugno scorso avrebbe compiuto 90 anni. Una delle icone per eccellenza di tutto il 900, simbolo e sinonimo di rivoluzione, del sacrificio nel nome di una causa: il “Che”, Ernesto Guevara. Molto è stato scritto, documentato, trasmesso in televisione e sul grande schermo del cinema mondiale, ma anche molto è stato cantato, messo in musica e poesia. La notizia curiosa è che, dopo il mondo ispanico, l’Italia è la nazione che ha maggiormente omaggiato con i suoi versi questa figura indimenticabile per gli eterni ideali di giustizia e uguaglianza. Vi stupirete della varietà dei generi.
Francesco Guccini - ‘Canzone per il Che’ / ‘Stagioni’
Due omaggi da parte del “maestrone” modenese. In Canzone per il Che del 2004 vince il senso dell’uomo fiero che guarda con dignità in faccia i propri esecutori: rivoluzionario cubano, rivoluzionario d’America, il Che di Francesco Guccini è un uomo che va incontro alla morte con dignità e consapevolezza. "Signor Colonnello, sono Ernesto, il “Che” Guevara. Mi spari, tanto sarò utile da morto come da vivo"
In Stagioni (2000) prevaleva invece lo sconforto generazionale, l’illusione di cambiare il mondo, finita nella consapevolezza di non essere stati all’altezza dei proprio modelli, dei miti di gioventù. Pur confidando in una sua futura, inaspettata “reincarnazione” rivoluzionaria. Lo stile inconfondibile di Guccini, tra cantautorato italiano e folk americano, è la cornice che identifica e suggella questi due splendidi brani.
GUCCINI - canzone per il Che

GUCCINI - stagioni

Skiantos – ‘Canzone per Che Guevara’
Qui si “grida” l’aspetto più umano di Guevara, nel rimpianto dell’amico perduto, a tu per tu e senza filtri, come quando da ragazzi ci confidavamo coi poster appesi al muro della nostra stanza. Realizzato con la collaborazione dei fratelli Severini, ovvero i Gang, e pubblicato nel 1999, gli Skiantos tirano fuori questo grintoso pezzo dallo stile moderno, post punk, e nel finale non manca il rimpianto: “Ernesto Guevara, detto il Che, avrei volentieri bevuto con te!"
Pino Daniele - ‘Isola Grande’
La nostalgia doppia per Pino Daniele, che è sia ricordo dell’eroe scomparso, sia memoria personale di un concerto tenuto a L’Avana nel 1983, al Varadero Festival (in compagnia, tra gli altri, di Nanà Vasconcelos) spinge Pino Daniele a scrivere, 21 anni dopo, questa canzone struggente e malinconica. Un nostalgico di sinistra che invoca il ritorno di “un comandante (…) che parla di rivoluzione”. Inconfondibile la chitarra “latina” di Pino Daniele, in un brano suonato magistralmente, solo come il grande cantautore partenopeo ci ha abituato ad ascoltare.
Roberto Vecchioni - ‘Celia de la Cerna’
Intimità anche nel pezzo di Vecchioni, che si pone – tipico di lui – nei panni della donna: della figlia, dell’amante o come in questo caso della madre. E allora è la mamma di Ernesto che canta, è mamma Celia che lo vede partire sulla sua moto, già sapendo che sarà per sempre. Celia De La Cerna è il nome di mamma Guevara. Eccola, nel pezzo scritto da Roberto Vecchioni, datato 1997, interloquire con quel figlio un po’ speciale e ricordare la Poderosa, o meglio la vecchia Norton 500 con la quale il Che intraprese il suo viaggio per le strade del Sud America. Citato anche il primo soprannome di suo figlio, quel “Fuser” con il quale era conosciuto nelle sue squadra di rugby, il Sic e l’Altalaye. L’introduzione del brano è uno spezzone di una vecchia ed emozionante registrazione della voce originale del “Che”, dall’ impatto molto potente per l’ascoltatore, seguita dalla musicalità personalissima del professore e dalla sua timbrica vocale carica di tensione emotiva.
VECCHIONI - Celia della Cerna

Angelo Branduardi - ‘1° aprile 1965’
Si tratta di uno stralcio in musica dell’ultima lettera scritta da Guevara ai propri genitori, il lamento di un figlio che anela alla libertà ma si sente costretto nelle corde troppo istituzionali dell’esperienza politica cubana. Angelo Branduardi trasforma in musica e canto i sentimenti più intimi e i conflitti interiori dell’eroe argentino. Un pezzo toccante, molto sentito, ben calibrato tra le parole del Che, ormai stanco dell’esperienza al governo dell’Avana e pronto a imbarcarsi verso nuove avventure, nel puro stile Branduardi, soffuso, dolce, ma molto efficace. Brano pubblicato nel 1988. 
Daniele Silvestri - ‘Cohiba’
Uno dei cantautori fondamentali degli anni ’90 nella sua fase più ribelle, quell’ “uomo col megafono” che denunciava la libertà e i diritti di un popolo diverso nel panorama mondiale che sfrecciava verso la globalizzazione a tutti i costi. Cohiba è la marca di un sigaro cubano e anche il titolo di una delle canzoni più popolari del repertorio di Daniele Silvestri, uscita nel 1996. Un inno al Che senza se e senza ma e all’intera isola di Cuba che, nonostante tutto, resiste agli embarghi e all’aggressività dei vicini di casa yankee. I tempi musicali del brano sono trascinanti, un possente rock, condito sapientemente da reminiscenze di salsa cubana.
Gabriella Ferri - ‘Addio Che’
Una b-side firmata Pier Francesco Pingitore, ode che oltre alla passione vocale della Ferri ha dalla sua il merito del tempo. Si tratta infatti di un omaggio pubblicato proprio nel tragico 1967, anno in cui scomparve l’eroe argentino. Uno strano 45 giri, con un lato A occupato da “Il mercenario di Lucera”, interpretato da Pino Caruso e preso a prestito dai giovani di destra, mentre sull’altra facciata compare un’ode a Che Guevara, cantata alla sua maniera, da Gabriella Ferri. Ancora più curioso è che i testi delle due canzoni portino la stessa firma, quella di Pier Francesco Pingitore. Sì, quello del Bagaglino. Una struggente ballata eseguita magistralmente dalla malinconica e “romanissima” voce di Gabriella Ferri.
......Addio Ché
sei morto nella valle
e non vedrai morire
la tua rivoluzione......
.....Addio Ché
come volevi tu
sei morto un giorno solo
e non poco per volta......
GABRIELLA FERRI - Addio "Che"

Sergio Endrigo - ‘Anch’io ti ricorderò’
È il personalissimo saluto che il delicato cantautore di Pola dà al “Che”, soffermandosi sul suo ultimo giorno di vita, crepuscolare nella consapevolezza della sconfitta ma luminoso perché destinato alla memoria eterna del suo popolo. Anch’io ti ricorderò” è un mesto addio al Comandante Guevara, la descrizione del suo ultimo giorno di vita. Sergio Endrigo, sue le firme di testo e musica, immagina un eroe ormai sconfitto e immerso tra i ricordi di Cuba, mentre la sua gente continua a vivere sotto il sole giurando di non dimenticarlo mai. E’ una canzone del 1968, incisa sul lato B di un 45 giri. , "La colomba". Lo stile è quello tipico di Endrigo, diviso tra cantautorato italiano e chansonnier francesi.
Modena City Ramblers ‘Transamerika’
Quello di “Transamerika”, brano del 1997, è l’Ernesto che parte in moto in compagnia di Alberto Granado per girare in lungo e in largo l’America del Sud. Più che un viaggio un’iniziazione, la definitiva presa di coscienza di uno sfruttamento sistematico delle popolazioni indigene e delle loro risorse. Le parole introduttive sono di Luis Sepulveda, poi i Modena City Ramblers chiudono il cerchio con la loro consueta gioia. 
Ivan Cattaneo ‘Cha cha Che Guevara’
Tratto da “Urlo”, l’album di maggior successo della prima parte di carriera di Ivan Cattaneo, pubblicato nel 1980, “Cha cha Che Guevara” è un pezzo per certi versi irriverente, che naviga tra il glam e il punk di marca milanese, mescolando Fidel Castro, il mambo, i Barbudos e il tabacco. Tutto questo, quando in Italia era frequente una certa sperimentazione, specie negli ambienti underground, molto tempo prima della grande omologazione! 
Bandabardò ‘Tre passi avanti’
“Ognuno ha i suoi santi, le sue bandiere di libertà, io seguo Che Guevara”. In poco più di tre minuti, in questo brano del 2004,una dichiarazione di intenti, un no alla guerra, un sì deciso alla fratellanza, alla mescolanza, al lato nascosto dell’America. Il rock folk di una straordinaria band  fuori da qualsiasi legge di mercato e di tecniche di marketing. 
Milva ‘Lungo la strada’
Brano del 1976, che conferma l’impegno politico della grande interprete italiana. Dalla connotazione teatrale, quale Milva ci ha abituato da sempre, si avverte tutta l’intensità e la drammaticità della voce calda della cantante, con un cantato e una scrittura che richiama molto e anticipa le sonorità di Battiato e di Alice.
Loredana Bertè ‘Il comandante Che’
“Bandiera e il cuore cucito addosso
Per dire che ci sei.
Quel basco nero nel sole rosso
Che non tramonta mai”.
I testi accorati di Loredana Bertè accompagnano questo pezzo del 1993. La pasionaria del rock italiano, anticonvenzionale, dissacrante, si misura con un testo e una “dedica” molto impegnativi: un inno alla figura del Che, un rock fresco e dinamico, cantato e suonato alla sua maniera, anche se non è tra le canzoni più conosciute dell’artista calabrese.
Non potevamo però terminare le note ispirate alla musica dalla figura del “Che” senza citare ‘Hasta Siempre’ di Carlos Puebla, portato alle masse nel 1996 dai Buena Vista Social Club e – per restare nello stivale – reinterpretato con grande calore dai Nomadi nel 1997. 
NOMADI - Hasta siempre
Concludo degnamente questo articolo, con i meravigliosi versi di Francesco Guccini, tratti dal brano “Stagioni”:
“.......Si offuscarono i libri, si rabbuiò la stanza,
perché con lui era morta una nostra speranza:
erano gli anni fatati di miti cantati e di contestazioni,
erano i giorni passati a discutere e a tessere le belle illusioni...”

lunedì 16 luglio 2018

FOGGIA, CAPITALE PER UN GIORNO



Le vicende umane, da quando esiste la civiltà, hanno sempre avuto il carattere della caducità, alternando fortuna a cicli di decadenza. La città di Foggia, ad esempio, oggi possiede una marginale importanza in quelli che sono gli equilibri all’interno dell’organigramma dello Stato italiano, essendo, per posizione geografica, o per peso politico, economico e culturale, relegata al ruolo di realtà “periferica”, al pari di decine di altre piccole città italiane, soprattutto meridionali. Un peso ben diverso possedeva invece al tempo del Regno delle Due Sicilie, per il delicato ruolo strategico che il centro agricolo possedeva: situata nel cuore del Tavoliere, crocevia di comunicazioni, la sua importanza era dovuta anche grazie al settore pastorizio, col fondamentale compito logistico di smistamento, censimento e tassazione delle numerose greggi di ovini (grazie al secolare fenomeno della transumanza). La relativa  vicinanza geografica e politica di Foggia con la capitale Napoli, oltre all’enorme contributo per la fornitura di derrate alimentari, in particolare grano, e di sostegno economico derivante dalle attività sopraindicate, ha fatto sì che presso il governo Reale godesse di enorme considerazione e prestigio, tanto da essere annoverata come una “vice capitale” sui generis del Regno. In virtù di questo privilegio, verso la fine del diciottesimo secolo, la città dauna fu scelta come sede di un evento di particolare importanza, ossia le nozze Reali tra il Principe ereditario Francesco di Borbone e la principessa Clementina d’Austria.
Il matrimonio si celebrò il 28 giugno 1797 e per qualche giorno Foggia divenne virtualmente la capitale del Regno.
In previsione di questo evento, che avrebbe coinvolto l’intera città, Palazzo Dogana venne invaso da muratori, stuccatori, decoratori, fabbri e falegnami. Il palazzo venne ridipinto a nuovo all’interno e all’esterno, furono chiuse porte ed altre se ne aprirono, molti soffitti vennero rifatti, le cucine subirono spostamenti e fu creata una bottiglieria ed una biscotteria con forno esterno. Stucchi, decorazioni, dipinti nobilitarono e completarono gli ambienti.

Al primo piano vennero allestiti gli appartamenti reali, quello dello sposo e quello della sposa. Alle dame di compagnia e alle cameriere venne riservato il secondo piano, mentre, dove erano situate le originarie carceri maschili, al piano terra, in seguito allo sgombero e alla successiva disinfestazione, vennero allestiti i locali per ospitare il corpo dei granatieri reali.
Il Salone del Tribunale, dopo la cerimonia religiosa in Cattedrale, divenne il centro di grandi festeggiamenti, allietati per l’occasione dall’esecuzione del melodramma gioioso “Daunia Felice”, appositamente composto da Giovanni Paisiello, musicista e compositore tarantino, di fama europea, autore dell’inno nazionale delle Due Sicilie.
Tanto calda e generosa fu l’accoglienza di Foggia e delle sue più ricche famiglie (che contribuirono generosamente al prestito pubblico lanciato per finanziare i preparativi) che il Re elevò a rango di marchesi i casati dei Freda, dei Celentano, dei Filiasi e dei Saggese.
Quindi l’anno 1797 segnò un momento importante per la storia di Foggia e della Capitanata. L’evento proiettò nella città il costume, l’etichetta, gli intrattenimenti e i piaceri della corte. Letterati, cortigiani, musicisti, cuochi e il numeroso seguito della famiglia reale, nei 73 giorni di permanenza in provincia, trasformarono le usanze, le consuetudini e la vita stessa della città. Quando Re Ferdinando IV, padre dello sposo, entra a Foggia era il 14 aprile del 1797, seguito da un fastoso corteo, tra gli applausi e le acclamazioni del popolo in festa. Prese subito possesso di Palazzo Dogana, trasformato in tempi record in una vera e propria reggia. Dopo alcuni giorni di permanenza in città, il Re intraprese un lungo viaggio per la Puglia, durato quasi un mese. Per il sovrano, girare per le estese zone del proprio regno non era solo un diletto, ma anche una necessità, con lo scopo di far sentire la vicinanza della Corona alle zone più geograficamente “periferiche” dello Stato, ma anche per conoscere da vicino le più svariate realtà sociali ed economiche per le quali la Puglia (divisa amministrativamente nelle province di Capitanata, Terra di Bari e Terra d’Otranto) era considerata terra di eccellenza, grazie alle numerose e prestigiose produzioni agricole e per gli importanti porti di cui era sede. E’ bene ricordare che Ferdinando IV fu l’istitutore, fra gli altri, del distretto colonico dei 5 Reali Siti, a sud di Foggia. Una delle prime tappe del Monarca fu la città di San Severo, importante sede vescovile e rinomato centro agricolo, feudo dei principi Di Sangro. Le cronache dell’epoca raccontano che il Sovrano partì di prima mattina da Foggia, con un ristretto séguito di cortigiani e con l’inseparabile guida Troiano Marulli, duca di Ascoli Satriano. Il Re percorse una strada che attraversava magnifici campi di grano, di cui il Tavoliere fece ampio sfoggio e che gli suscitarono stupore e meraviglia, e in due ore giunse nella città dell’alta Capitanata. All’ingresso di San Severo fu accolto dalla parata del reggimento di Cavalleria Regina, che lo scortarono fino al centro città, accolto in maniera degna ed adeguata, ospitato da importanti notabili cittadini. Dopo una messa in cattedrale e una frugale colazione a base di pasticcio di cipolle, verdure e formaggi locali, inizia il viaggio di ritorno verso Foggia.