domenica 15 dicembre 2013

compraSud

In questa epoca di forte crisi economica, dovuta principalmente all’assetto di nuovi equilibri mondiali, di fianco al consueto malcontento e al rigetto di regole e di sistemi politici e amministrativi vecchi e obsoleti, c’è chi tenta di attuare interessanti progetti anti recessione. Ma prima di addentrarci nei dettagli di un operazione di tipo commerciale, di iniziativa meridionale, è necessario riassumere alcuni dati che, lungi da qualsivoglia appartenenza politica o ubicazione geografica, credo siano inconfutabili. L’Italia è un paese che possiede un’economia duale, con zone a forte sviluppo economico e civile e zone tanto depresse da uscire da qualsiasi parametro europeo. Questa situazione, una volta definita “questione meridionale”, si trascina da più di un secolo e mezzo,  e la sua soluzione, pur essendo stata un cavallo di battaglia di schiere di politici durante accese campagne elettorali, non è mai stata seriamente e pienamente attuata. Anzi, nel tempo,  la forte economia settentrionale ha cannibalizzato la debolezza delle regioni meridionali e la classe dirigente italiana non ha la piena capacità, nonché la volontà di porre rimedio a questa anomalia, tranne che per lanciare slogan vuoti, oppure prendere provvedimenti "tampone", sotto forma di integrazioni e pensioni assistenziali.
A questo punto mi sento in dovere di introdurre un breve brano tratto da un libro di testo scolastico, pubblicazione che risale a quasi quarant'anni fa, adottata da diversi istituti di scuole superiori negli anni 80. Il libro si intitola “Sud, miti e realtà”, Editrice Ferraro, scritto da Ugo Piscopo e Giovanni D’Elia. “….nell’ambito del nuovo stato unitario, il Mezzogiorno divenne una terra da sfruttare, una colonia le cui risorse dovevano favorire lo sviluppo del nord, oltre che il consolidamento e l’espansione del potere della borghesia. L’alleanza tra questa e i proprietari terrieri del sud, che di fatto aiutarono i Savoia e Garibaldi a  rovesciare i Borbone, impediva qualunque trasformazione in senso progressista della società meridionale. Lo sviluppo capitalistico settentrionale comportava il sottosviluppo programmato del meridione: per garantire l’ammodernamento e l’ampliamento dell’apparato industriale del nord, era necessario tenere inchiodato il Sud in una condizione di inferiorità, in modo da utilizzarne le risorse economiche e umane…!”. Inoltre, emblematiche suonarono le parole del nuovo governatore della neonata banca d’Italia, Carlo Bombrini, nel lontano 1862 : “I meridionali non dovranno più essere in grado di intraprendere”.
Uno studio dell’economista Paolo Savona ha messo in evidenza il fatto che su quasi 72 miliardi di euro l’anno di acquisti effettuati dai cittadini delle regioni meridionali, ben 63 sono di beni e servizi prodotti nelle regioni del Nord. Solo una parte dei restanti 9 miliardi resta nel Mezzogiorno, essendo comprese in essi anche la quota di spese estere.

Ufficiale è il fatto che la bilancia commerciale delle Regioni settentrionali sia positiva verso i mercati del sud Italia e negativa verso l’estero – fatta eccezione per il Veneto – che ha entrambe le voci positive. Questo cosa vuol dire? Che le regioni meridionali sono il mercato di riferimento delle aziende del nord, che in molti casi operano in regime di monopolio, mancando qualsivoglia forma di concorrenza, le quali aziende, senza la quota consumo del mercato interno nazionale, sarebbero facilmente in passivo e destinate ad enormi difficoltà di gestione!
 COMPRASUD è un progetto che vari movimenti e associazioni meridionaliste hanno elaborato per alleviare, nell'immediato, i problemi economici del Mezzogiorno. Esso è affidato essenzialmente ai consumatori meridionali e non, di ogni parte d'Italia. Se costoro vogliono, senza rischi o sacrifici, aiutare i loro figli a non emigrare più, basta che scelgano mensilmente merci prodotte da aziende del Sud.
Per iniziare, a parità di prezzi e di qualità, è facile scegliere fra generi alimentari,  (pasta,  acqua minerale, olio, vino, pelati, salumi, gelati, dolci, biscotti, ecc.), oppure manufatti non alimentari di vario genere (mobili, salotti, utensili e attrezzature varie), di fabbricazione dauna, pugliese o meridionale in generale. Incominciate a pensare che, se ogni mese una famiglia di meridionali  (circa 6 milioni in Italia) spendesse 200 euro per l'acquisto di prodotti del Sud, ogni anno le nostre imprese incasserebbero minimo 14,4 miliardi di euro, che gireranno praticamente nelle nostre tasche, evitando che le imprese "forestiere" sfruttino l’economia e il mercato meridionale, con la sottrazione di materie prime, che saranno finalmente lavorate al Sud, e di preziosi capitali, che allo stato attuale prendono la fuga verso le banche, le finanziarie, le aziende di franchising e le compagnie assicurative del nord. Questo potrebbe essere un modo per ricostruire una comunità economica e culturale meridionale nel segno della solidarietà e del rispetto di tutte le categorie e di tutti i soggetti che ne fanno parte, non dimenticando che l’economia è anche cultura e identità di un popolo. I prodotti della nostra terra e del nostro lavoro parlano di noi più di qualsiasi altra cosa!


venerdì 15 novembre 2013

Lo sapevi.....


… che Demetrio Stratos, una delle voci più importanti e originali della musica popolare, condusse un'importante esperienza incentrata su sperimentazioni e ricerche vocali. I sui studi della voce come strumento, nonché una innata dote naturale, lo portarono, nel corso degli anni settanta, a raggiungere risultati al limite delle capacità umane: era in grado di padroneggiare diplofonie, trifonie e quadrifonie (due, tre e quattro suoni contemporaneamente emessi con la voce). Compì ricerche di etnomusicologia ed estensione vocale in collaborazione con il CNR di Padova, tra il 1976 e il 1978, avvicinandosi alla musica tradizionale orientale, in particolare studiando le modalità canore di alcuni popoli asiatici. Il prof. Franco Ferrero, presso il Centro Studi per le ricerche di Fonetica del CNR dell’Università di Padova, analizzò gli effetti che Stratos riusciva a produrre con la voce. La frequenza era molto elevata (le corde vocali normalmente non riescono a superare la frequenza di 1000-1200 Hz). Nonostante ciò, Demetrio Stratos otteneva non uno, ma due fischi disarmonici, uno che da 6000 Hz che scendeva di frequenza, e l’altro che da 3000 Hz che saliva.
Le analisi sulla voce di Stratos, sia quelle effettuate nel periodo 1976-78, sia le successive, hanno dimostrato che il musicista riusciva a produrre diplofonie, suoni bitonali e difonici (overtone singing), abilità diverse tra loro che è raro trovare nella stessa persona. “La voce - sosteneva Stratos - è oggi nella musica un canale che non trasmette più nulla. L’ipertrofia vocale occidentale ha reso il cantante moderno pressoché insensibile ai diversi aspetti della vocalità, isolandolo nel recinto di determinate strutture linguistiche”. Demetrio Stratos è stato il cantante del gruppo beat dei Ribelli e successivamente la voce della straordinaria session degli Area, band jazz fusion progressive, composta da musicisti di eccezionale talento.
All'età di 34 anni, nel 1979, l’artista fu colpito da una gravissima forma di anemia aplastica. Il cantante andò a curarsi al Memorial Hospital di New York. In attesa di un trapianto di midollo osseo, improvvisamente le condizioni di Stratos si aggravarono tanto da portarlo alla morte, il 13 giugno 1979, per collasso cardiocircolatorio.



La sua scomparsa sconvolse tutto il mondo dello spettacolo e quel giorno l’umanità perse la grande occasione per ampliare ulteriormente i propri orizzonti artistici, anche se l’eredità lasciataci da Demetrio è già immensa. La sua tomba si trova nel cimitero del piccolo borgo di Scipione Castello, nei pressi di Salsomaggiore Terme (Parma). A Demetrio Stratos sono intitolati l'auditorium degli studi di Radio Popolare a Milano, una piazza a Oppido Lucano (Potenza) e una strada a Vaglio Basilicata (Potenza). Nel 1980 la PFM, nell’album “Suonare Suonare gli ha tributato uno splendido brano dal titolo “Maestro della voce”.
                                                                                                                                                                              




lunedì 4 novembre 2013

Musica ambient

AI CONFINI DEL SILENZIO

E’ possibile l’ esistenza di una musica che quando c’è non si sente? Può sembrare un ossimoro o un assurdo controsenso, ma è vero, perché, caso unico più che raro, la ambient music non è musica che nasce per essere ascoltata con attenzione, ma semplicemente per “arredare” gli ambienti in cui viene inserita. “Musique d’ameublement” la chiamava Erik Satie, mobilio musicale, che al pari di un tavolo o di un armadio presenti nell’ambiente in cui viviamo, oggetti che hanno un loro ruolo, una loro importanza, ma non necessariamente catturano la nostra attenzione, fino a quando non dobbiamo servircene. Musica che riempie la realtà, come il “silenzio” di John Cage, musica che può essere ascoltata o ignorata, senza che perda nulla della sua essenza, musica “discreta”, come l’ ha definita Brian Eno, il musicista che più di tutti ha contribuito alla definizione di ambient music.
Egli iniziò ad elaborare i primi esperimenti già dalla metà degli anni 70, e la sua idea era quella di produrre musica che può essere "ascoltata attivamente con attenzione, oppure può essere facilmente ignorata, a seconda della scelta dell'ascoltatore”. Eno si descriveva come un "non musicista", che nei suoi concerti teneva esperimenti sonori piuttosto che perfomances tradizionali e utilizzò il termine "ambient" per descrivere una musica che creava un'atmosfera, che cambiava lo stato d'animo dell'ascoltatore in uno diverso; ha scelto, infatti, questo termine derivante del verbo Latino "ambire", che significa "circondare". L’idea gli venne un giorno in cui il musicista, a letto con la gamba ingessata a seguito di un incidente, ricevette la visita di un amica, che gli portò in regalo un disco di arpa. Quando la sua amica se ne andò, dopo avergli messo il disco sul giradischi, si accorse che il volume era troppo basso e che uno dei due altoparlanti non funzionava, ma, impossibilitato a muoversi, per una casuale costrizione, fu “iniziato” a quell’ insolito e quasi impercettibile ascolto a bassissimo volume. Ma il vero padre della ambient music  resta un compositore classico francese del primo novecento, Erik Satie, che inventò la musica d’arredamento, come risposta alla musica ad alto volume, che costringeva spesso la gente ad interrompere le conversazioni nei caffè e nei ristoranti. La musica di Satie era disegnata per non interferire con altre attività e allo stesso tempo per fornire un piacevole “background”, un accennato sottofondo, a riempire “il terribile silenzio che ogni tanto cade tra i commensali e a coprire i rumori esterni che diventano indiscretamente presenti”!  Un chiaro ed esplicito invito ai "moderni" gestori di punti di ritrovo e attività commerciali, che molto frequentemente assordano gli avventori e i clienti con suoni spesso inopportuni e di dubbio gusto! E’ difficile comprendere e decodificare la musica ambient, specie in questa epoca di bombardamento di immagini, di eccessivo rumore e di esagerato clamore. Questo genere di musica concettuale, quasi astratta, senz’altro non possiede né le caratteristiche, né i presupposti per arrivare a un grande pubblico, al “successo”, e chi compone musica ambient non ha di queste pretese! L’approccio ad essa è un sottile atteggiamento culturale e spirituale e il suo ascolto, per chi lo cerca, non è affatto un’esperienza sterile, ma un completo coinvolgimento sensoriale. Come è naturale, l’ambient music non ha una sua connotazione precisa, ma si compone di tante sfaccettature, una miriade di sfumature che ne accrescono il fascino, senza contare l’enorme influenza che ha avuto anche sul pop e sul rock, specie di marca anglosassone. In genere i brani ambient necessitano di tempi dilatati, la cui durata può superare anche i dieci minuti: è la inevitabile necessità di esprimersi dei musicisti-compositori, che adoperano ampi spazi per esprimere la poetica e il pathos delle loro sonorità. Fra le diverse espressioni, troviamo la musica ambient organica, che è caratterizzata dall'integrazione della musica elettronica, elettrica, con strumenti musicali acustici. La ambient ispirata dalla natura, ossia un tipo di musica che è composto da campionamenti e registrazioni di suoni naturali (rumore della pioggia, delle onde del mare, di una cascata, del vento tra gli alberi o del cinguettare degli uccelli, ecc.). Il dark ambient, sottogenere caratterizzato da atmosfere decadenti, macabre, opprimenti, e da sonorità oscure e misteriose. Poi c’è la ambient techno, contaminata con sonorità  dance e acid jazz. La space music, che include un tipo di musica del genere ambient, nonché una gran parte di altri generi con alcune caratteristiche in comune, per creare l'esperienza contemplativa della spaziosità. Essa spazia dalle più semplici trame sonore a quelle più complesse, mancando talvolta di melodie, ritmiche e strutture vocali convenzionali, prestata generalmente ad evocare un senso di "continuum di immagini spaziali ed emozioni", benefiche introspezioni, un ascolto profondo e una sensazione di galleggiamento.



                                                            Brian Eno - By this river


Con questi sviluppi successivi quindi, si scoprono elementi 'sognanti',  non lineari della musica ambient, applicati ad alcune forme della musica ritmica, pop ed etnica, presentata nei locali "chillout", ai rave ed altri eventi dance, ma da sempre con la funzionalità principale della musica di catturare lo stato d'animo dell'ascoltatore, e farlo uscire dalla propria coscienza. A tal proposito, il risvolto più eclatante è stato quello della New Age, vera e propria filosofia di vita, che partendo dalla necessità di un viaggio interiore e dalla riscoperta del rapporto uomo-natura, si è servita della musica come viatico privilegiato. In questo caso il genere musicale si è notevolmente ampliato, assumendo una forma più “ascetica”, ha prevaricato il semplice ascolto, per assurgere a stile di vita atta a coinvolgere ogni aspetto del quotidiano. Anche il cinema ha da sempre adottato le sonorità ambient, che si prestano  perfettamente alla creazione di tappeti sonori a supporto di situazioni di pathos esplicitamente evocativi. Celebri colonne sonore del cinema di tutti i tempi ne sono la testimonianza!



                                                                     Moby - Porcelain


 

giovedì 17 ottobre 2013

I 5 Reali Siti

PROVE TECNICHE DI SOCIALISMO
 Prima dell’avvento della dinastia dei Borbone, nell’Italia del Sud la situazione economica e sociale non era particolarmente florida, essendo stato tutto l’insieme delle regioni meridionali sotto varie dominazioni straniere e considerato possedimento da sfruttare. In effetti, dopo aver costituito parte rilevante, prima della Magna Grecia e poi dell’Impero di Roma, il Mezzogiorno intero, pur mantenendo la compattezza territoriale (a differenza del resto della penisola, non fu mai diviso in piccoli staterelli, ducati e comuni vari), per diversi secoli fu ridotto a condizione di colonia, quasi una terra di nessuno (fatta eccezione per brevi parentesi, quali l'età federiciana), fino all’insediamento della casata Borbone, sovrani essi stessi stranieri, ma col tempo ben integrati e divenuti “napolitani”, che ne decretarono l’autonomia politica e amministrativa. Il tentativo della monarchia borbonica, insediatasi nel 1734 con Carlo (1716-1788) al governo del regno di Napoli, di contrastare l’arretratezza feudale del paese e l’accentramento della proprietà feudale in Napoli, si concretizzò con l’introduzione di riforme economiche e sociali ispirate alle idee illuministiche, che si proponevano di conseguire: "... la modernizzazione della macchina statale ed il potenziamento delle istituzioni laiche; lo sviluppo economico; la realizzazione di una società più equa e più stabile! " Se e in quale misura questi obiettivi fossero conseguiti è argomento di dibattito a tutt’oggi. E’ tuttavia innegabile, che pur in maniera contraddittoria, i governi di Carlo e Ferdinando IV di Borbone apportarono originali e importanti trasformazioni in Italia meridionale. Innovazioni furono introdotte in campo economico, giuridico, commerciale, militare; si incrementarono le opere pubbliche, si incoraggiarono le arti e le scoperte di “antichità”; si cercò di limitare lo strapotere dei baroni e l’incremento della proprietà ecclesiastica.

Per rimuovere la struttura feudale del territorio era ben chiaro agli intellettuali e agli aristocratici illuminati dell’epoca il ruolo che l’agricoltura avrebbe dovuto svolgere per la rigenerazione del tessuto sociale. A questo proposito ricordiamo l’opera di Domenico Grimaldi, illuminista impegnato, allievo del Genovesi, figura autorevole dell’illuminismo economico e tecnico. Nella sua opera Piano di riforma per la pubblica economia nelle province del regno di Napoli e per l’agricoltura delle Due Sicilie ( Napoli 1780) affermava, in base all’esperienza della sua fattoria sperimentale a Seminara in Calabria,  ”... la necessità di nuove tecniche agricole, di un adeguato sistema di irrigazione,… di conquistare i campagnoli più intraprendenti alla causa della produzione...”. Studiando il “vivere civile” e la “felicità” dei cittadini elaborò un piano di ammodernamento agricolo per iniziare la rivoluzione dell’economia “campestre”, introducendo le pratiche “rustiche” che erano già solida e concreta realtà in altre nazioni. Consentendo all’agricoltura di applicare nuovi metodi e conseguire miglioramenti tecnici, si compiva un’opera illuminata d’istruzione e di rigenerazione del tessuto sociale, a cominciare dalla base, ossia dall’attività primaria per eccellenza. D’altra parte lo stesso sovrano dava esempio di migliorare l’agricoltura nelle terre di sua proprietà o destinate a siti di delizia della Real Casa, facendovi praticare tutti i nuovi metodi di coltivazione ed introducendo le necessarie macchine. In questo enorme piano di riforme venne a maturare la creazione del distretto agricolo denominato dei 5 Reali Siti, in cui è inserita Orta Nova. Dopo la confisca dei beni della “Casa d’Orta” ai Padri Gesuiti, nel 1774, per volere del Marchese Bernardo Tanucci, Primo Ministro del Re, nacquero i “5 Reali Siti”; con essi sorgevano nuove speranze per coloro i quali si erano avventurati, popolando i nuovi centri di Orta, Ordona, Stornara, Stornarella e Carapelle, di poter godere dei privilegi concessi dal Sovrano affinché gli stessi progredissero sia dal punto di vista economico sia sociale.
A ciascuno furono assegnate 10 versure di terreno seminatoriale, 2 versure di mezzana per il pascolo dei buoi, la casa rurale, alcuni animali, gli attrezzi agricoli, le sementi per la coltivazione dei terreni e tutto il necessario per l'insediamento nei nuovi centri.
 Tale operazione fu chiamata censuazione e fu stabilito un canone annuo, detto estaglio o laudemio di 18 carlini a versura per le terre seminatoriali e di 5 carlini a versura per le mezzane; la concessione aveva una durata di 29 anni con la stipula di un contratto di enfiteusi rinnovabile.
In totale, per i cinque centri furono concessi terreni a 410 famiglie suddivise nel seguente modo: per Orta 105, per Ordona 93, per Stornara 83, per Stornarella 73 e per Carapelle 56.
Soprintendeva all’intera amministrazione la Reale Azienda di Educazione con sede a Napoli.

Ferdinando, pur non dichiarandosi “illuminato”, promosse numerose iniziative che oggi chiameremmo sociali: tra le tante, senza dubbio il suo grande e originale “capolavoro” fu l’istituzione dell’opificio di San Leucio, sulle colline intorno a Caserta.
Inizialmente era il luogo preferito dal sovrano per la caccia ma poi fu trasformato nel posto dove furono ideati e prodotti velluti e sete di grandissimo pregio. Era retto da uno statuto a impronta "socialista", dettato personalmente da Ferdinando, rifinito dai suoi giuristi, che fu magnificato in tutta Europa.
Ai lavoratori delle seterie era assegnata una casa all'interno della colonia, ed era, inoltre, prevista per i figli l'istruzione gratuita potendo beneficiare, difatti, della prima scuola dell'obbligo d'Italia che iniziava fin da 6 anni e che comprendeva le materie tradizionali quali la matematica, la letteratura, il catechismo, la geografia, l'economia domestica per le donne e gli esercizi ginnici per i maschi. I figli erano ammessi al lavoro a 15 anni, con turni regolari per tutti, ma con un orario ridotto rispetto al resto d'Europa! Le abitazioni furono progettate tenendo presente tutte le regole urbanistiche dell'epoca, per far sì che durassero nel tempo (abitate tuttora) e fin dall'inizio furono dotate di acqua corrente e servizi igienici.
La produttività era incentivata da un bonus in danaro che gli operai ricevevano in base al livello di perizia che avevano raggiunto (meritocrazia). La proprietà privata era tutelata, ma erano abolite le doti e i testamenti. La dote veniva concessa di diritto alla donna e i matrimoni avvenivano non per procura o “convenienza” (pratica molto in uso all’epoca), ma si dava ampio spazio e rispetto ai sentimenti dei giovani! I beni del marito deceduto passavano alla vedova e, a morte di questa, al “Monte degli orfani”, cioè la cassa comune gestita da un prelato, che serviva al mantenimento dei meno fortunati. Le questioni personali erano giudicate dall'Assise degli Anziani, scelti fra coloro che avevano raggiunto i massimi livelli di benemerenza, ed erano di nomina elettiva. Questi monitoravano anche la qualità igienica delle abitazioni e potevano deliberare sanzioni disciplinari nonché espulsioni dalla colonia.

  Ferdinando IV Re di Napoli (successivamente Ferdinando I  Re delle Due Sicilie) organizzava spesso battute di caccia e feste condivise con la stessa popolazione della colonia. Il sovrano firmò nel 1789 un'opera esemplare che conteneva i principi fondanti della nuova comunità di San Leucio. Tale codice, voluto dalla consorte Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, fu redatto da Giuseppe Planelli, su ispirazione di Mario Pagano e di altri illuministi e fu pubblicato dalla Stamperia Reale del Regno di Napoli in 150 esemplari. Il testo, in cinque capitoli e ventidue paragrafi, rispecchia le aspirazioni del dispotismo illuminato dell'epoca ad interpretare gli ideali di uguaglianza sociale ed economica e pone grande attenzione al ruolo della donna. Diverse opportunità erano offerte anche agli invalidi del lavoro, che potevano rimanere in loco dopo l'infortunio; per questi fu progettato un ospizio apposito, la “Casa degli infermi”. Il codice di regolamento di San Leucio e l’organizzazione lavorativa e sociale della comunità sono stati oggetto di studio di varie università europee e americane, mentre la storiografia e gli atenei italiani hanno preferito dedicarsi a vicende "accademiche" più adeguate al pensiero comune dominante, più incline al luogo comune e alla retorica di cui è infarcita la recente storia d'Italia. 

martedì 8 ottobre 2013

Vico Lungo La Meta

LO STRANO CASO DELLA VIA SENZA NUMERI

La linea rossa traccia il percorso di  "VICO LUNGO LA META"


La parafrasi del titolo di un brano degli U2, “ Where the Street have no number , credo che calzi a pennello per descrivere un piccolo e semisconosciuto angolo della nostra città: vico Lungo la Meta. In effetti, questa stretta, lunga e curiosa via possiede molti elementi inusuali, che la rendono davvero singolare. Nel suo tratto finale, più periferico, ha l’aspetto di una strada “normale”, con quella funzione che una moderna via cittadina possiede; ma nella sua lenta prosecuzione verso il centro, vista dall'alto, assume tutte le caratteristiche di un vero e proprio solco, un“taglio” netto fra gli isolati, che con discrezione conduce verso altre vie più importanti e "blasonate" di lei, quasi che si metta al loro servizio, mentre il suo compito termina al suo sbocco finale, che, al pari di un piccolo affluente col suo minuscolo estuario, si riversa nel fiume. Suo malgrado, e senza saperlo, Vico Lungo la Meta è un'isola, troppo stretta per le auto, troppo dissestata e mal curata per i pedoni. Ma troppo comoda per chi, provenendo dalla periferia, dal quartiere “Leccese”, vuole raggiungere in breve tempo la chjazz  (la piazza), ossia il centro. Nella sua parte finale è pressoché priva di accessi di abitazioni, di conseguenza priva di numeri civici, ma col primato di essere stata la prima isola pedonale di Orta Nova! Ma è anche uno dei pochi angoli che offre il gusto della sorpresa, quasi dell’imprevisto, ed, essendo inibita al traffico motorizzato, pur nella sua brevità, offre anche il sapore del silenzio, un raro caso di quiete cittadina. Peccato per il suo stato di relativo abbandono e di precaria igiene. Vico Lungo la Meta è un colpo di lama inferto all’abitato, una ferita netta, ma indolore, un luogo anonimo, come momentaneamente anonimi diventano tutti coloro che la percorrono: l’urbanistica della nostra città l’ha condannata (o promossa!) a questo ruolo! C'è da dire però che questa minuscola arteria richiede a gran voce di essere eletta a dignità civile, meritevole di un serio restyling che le possa restituire la veste di luogo privilegiato. Non dimenticando la sua natura discreta e silenziosa, sarebbe esteticamente opportuna una adeguata pavimentazione (magari in pietra) e una tenue illuminazione e, perché no, una meritata riscoperta da parte dei “suoi” concittadini.



sabato 28 settembre 2013

Anni 60 : PIPER CLUB


IL POSTO DOVE ACCADDE DI TUTTO…

Il 22 agosto (2013) è morto a Roma Giancarlo Bornigia. Questa in se potrebbe essere una notizia come tante, magari destinata anche a passare inosservata, se non fosse per il nome del protagonista. Bornigia, che avrebbe compiuto 83 anni il 29 settembre (2013), è scomparso per un arresto cardiaco al Policlinico Umberto I di Roma. I funerali si sono  svolti lunedì 26 agosto (2013), nella chiesa di Santa Chiara, in piazza dei Giochi Delfici. Ma chi era Giancarlo Bornigia? Un personaggio che in maniera indiretta (o diretta) ha dato tanto alla musica, e probabilmente, forse senza rendersene pienamente conto, è stato uno dei pionieri in Italia per la diffusione della liberalizzazione del costume e della cultura alternativa di marca anglosassone! Vero re delle notti romane e fondatore, con Alberigo Crocetta e Alessandro Diotallevi, del leggendario Piper Club, locale  diventato uno dei simboli riconosciuti del boom economico italiano degli anni '60.    

Commerciante di automobili, la svolta della vita per Bornigia arriva nel 1965. Non è facile, per chi non l’ha vissuta di persona, raccontare la vita e l’atmosfera che si respiravano qualcosa come più di mezzo secolo fa al Piper Club, il locale nato in quell’anno, al numero 9 di via Tagliamento e diventato in pochi mesi, o meglio in poche settimane, santuario romano della musica, il punto d’incontro di migliaia e migliaia di ragazze e ragazzi che piovevano a Roma da mezza Italia e anche dall’estero,  per raggiungere lo storico grande scantinato, un posto dove poteva accadere di tutto, e dove in effetti accadde proprio di tutto! Quelli erano anni di forte crescita economica e l’aria che si respirava era talmente carica di aspettative, che spesso induceva molti giovani a un eccesso di intraprendenza, ai limiti dell’incoscienza, la stessa euforia che contagiò i tre amici romani a “buttarsi” in una impresa ardua e inverosimile, una scommessa avvincente!  Il Piper non era solo una semplice discoteca:    sono passati veramente tutti, ma proprio tutti, dai Rolling Stones ai Genesis, da Jimi Hendrix ai Pink Floyd, dai Rokes agli Who, da Sly and The Family Stone a Lionel Hampton, da Rocky Roberts ai Procol Harum, da Nino Ferrer a Patrick Samson. Una domenica di mezza mattina, ad esempio, una classica ed anonima domenica romana, dal tipico sapore di “carbonara e coda alla vaccinara", chi si trovò nel locale, riuscì ad assistere a un evento inimmaginabile, un esclusivo e quasi segreto concerto dell’orchestra di Duke Ellington, con la leggendaria big band messa al centro della pista (erano troppi musicisti per trovare lo spazio giusto sul pur ampio palcoscenico) e il pubblico che si sistemava ai fianchi, sul palco, sulle balconate e in ogni angolo per godersi il grande, immenso Duke.    














Anche molti musicisti italiani si sono fatti le "ossa" al Piper, e basta un breve elenco per capire che tipo di fascino avesse il locale. Laggiù sono passati e spesso avviati artisti del calibro di Mina, Gabriella Ferri, Rita Pavone, Mia Martini, Loredana Bertè, l’Equipe 84, Formula 3, i Pooh, Fred Bongusto, Wess e Dory Ghezzi, i New Trolls, le Orme, i Corvi, i Ricchi e Poveri, i Dik Dik, Romina Power, i New Dada, i Rokketti, Caterina Caselli, Mita Medici, i Primitives di Mal.
 Ma i due personaggi che hanno indissolubilmente legato il loro nome a quello del Piper senza ombra di dubbio sono Patty Pravo (la ragazza del Piper) e Renato Zero (che circa vent’anni dopo, in pieno successo popolare gli dedicò il titolo di un intero album, via Tagliamento, appunto).  






La linea artistica si ispirava al mondo del beat inglese, da cui copiò anche l'idea dell’uso innovativo di luci stroboscopiche e colorate, accoppiate ai suoni e allo stile ispirato dalla moda. Probabilmente il Piper, che dettava le tendenze anche in fatto di moda in quegli anni, fece da trampolino per il trionfale ingresso della minigonna in Italia, ideata dalla stilista londinese Mary Quant, uno dei tanti aspetti della “rivoluzione” dei sixty, che stavano preparando la strada per i “fuochi” del ’68!
E proprio nel 1968 dal Piper partì un'iniziativa simile a quelle in voga negli anni 70, i cantagiri canori: nella fattispecie, il CantaPiper. "Piper Club" è stato inoltre il nome di un'etichetta discografica che ha pubblicato i dischi di molti degli artisti che si esibivano nel locale. Ma l’interesse di Bornigia non si fermava alla musica: tra note e pittura, Bornigia portò in mostra al Piper Club anche opere d'arte contemporanee, tra cui alcuni  dipinti di Andy Warhol, di Schifano e opere di Piero Manzoni e di Mario Cintoli.
 Dopo il Piper, Bornigia ha proseguito, al pari di un Re Mida, nella "creazione" di altri locali, frequentatissimi nelle notti romane, come il Gilda, l’Alien, lo Smile, il Tatum e l’Acquapiper di Guidonia. Accorto amministratore, che cercava per quanto possibile di tenere stretti i cordoni della borsa, uomo che per anni e anni è stato il re delle notti romane, con un giro d'affari di svariati miliardi, supermanager che ha sempre seguito le regole pagando puntualmente tasse, la Siae, i contributi e tutto il resto, questo era Bornigia. Era preciso al punto che molti, da quelli che non riuscivano a entrare o a superare le chilometriche file all’ingresso, fino ai musicisti italiani e stranieri che tentavano di aumentare i propri "onorari", l'avevano simpaticamente soprannominato l’implacabile.

 

sabato 14 settembre 2013

Lo sapevi.....


... che verso la fine degli anni settanta una parte della produzione musicale fu fortemente influenzata dall' elettronica: sulla scena mondiale comparvero diversi gruppi che adottarono l’uso massiccio e sistematico di sintetizzatori sempre più perfezionati e arricchiti di molteplici effetti sonori. Sulla scia dei capostipiti, i tedeschi Tangerine Dream e sull’onda di un entusiasmo, a volte modaiolo, dato dai numerosi film e serie TV dell’epoca, di ispirazione fantascientifica, emersero sul mercato discografico diverse band, soprattutto straniere, che tra l’altro ebbero un enorme consenso popolare. Fra questi sono da annoverare i francesi Rockets, dalle sonorità commerciali, tipicamente disco, “spaziali” nelle sonorità e nel look e i tedeschi Kraftwerk, diretti discendenti dei connazionali Tangerine Dream, dallo stile minimalista, mitteleuropeo e proto - ambient, decisamente  meno commerciali dei colleghi francesi e da molti considerato un gruppo fondamentale, per le forti influenze apportate alla nascente new wave, specie quella di ispirazione elettronica, genere che successivamente arrivò a monopolizzare l’intera produzione del decennio degli ottanta.

                                ROCKETS - Anastasis



 
  
KRAFTWERK - The models




ROCKETS - On the road again




domenica 8 settembre 2013

Agosto eventi 2013 - parte prima -


NOTTE BIANCA: CRONACA DI UN “FLOP”
NOTTE ROSA : BUONA LA “PRIMA”
Come precedentemente anticipato, passiamo ad approfondire i motivi, le ragioni e gli ostacoli che l’organizzazione della Notte Bianca Ortese ha incontrato e che suo malgrado non è riuscita a superare. Questo spazio non vuole solo essere l’analisi di una manifestazione mal riuscita, ma l’occasione di parlare di ciò che succede nella nostra città ogniqualvolta c’è da programmare e preparare qualcosa. In questo spazio è inevitabile che la premessa sia ampiamente dedicata alla Notte Rosa, vista, almeno per quest’anno, a torto o a ragione, come il “salvagente” dell’agosto ortese e “tampone” della mancata Notte Bianca. In questo ci vedo tutta l’abilità imprenditoriale di Ciro Dalla Zeta, noto pubblicitario di Orta Nova, ideatore di questo evento, che ha saputo “infilarsi” nello spazio vuoto lasciato da altri maldestri organizzatori. La sua creatura è stata una sorpresa positiva, di certo non ancora pienamente matura, anche per i tempi e il budget veramente limitati, ma l’idea messa in campo da Ciro è vincente e con un potenziale enorme da sfruttare. La sua Notte Rosa è venuta a creare un precedente, con diverse  novità che ha apportato, prima fra tutte la mancanza di decine di ambulanti che soffocavano l’evento, col rischio di assimilare la serata a un comune mercato settimanale, la mancanza di “arrostitori” di salsicce e diavolerie varie,  e di conseguenza concentrando l’attenzione esclusivamente sugli artisti partecipanti e non al solo e unico pensiero di bere e mangiare ! Ma questa manifestazione senz’altro può essere arricchita da altre mille proposte, visto la sua natura e il taglio che le è stato dato, quindi senza dubbio in futuro potrà crescere enormemente.  Anche l’ospite è una riprova del tentativo di innovare l’ambiente e la proposta culturale: la vocalist Scheol Dilu Miller, accompagnata dall’ortese Harlem Blues Band,  prestigiosa artista della nuova frontiera di contaminazione rhythm & blues, funky, acid jazz, è stata una scelta ardita e coraggiosa, ma una scommessa senz’altro vinta da chi ha ideato la Notte Rosa.
   Prima di entrare nello specifico della Notte Bianca, ci sono alcune osservazioni da fare, senza però banalmente cadere nei soliti luoghi comuni. La realtà ci dice che comunque ad Orta Nova, durante i mesi estivi, sono stati organizzati egregiamente degli eventi importanti, di matrice religiosa e non, ma pur sempre impegnativi ed onerosi. Mi riferisco in primis alla Festa Patronale, in onore di Sant’Antonio da Padova, poi alle riuscitissime feste della Madonna dell’Altomare e di San Rocco, così come al tradizionale raduno del Rock Festival e alla prima edizione della sorprendente e già citata Notte Rosa.  Quindi, in questi casi la macchina organizzativa ha funzionato e i risultati sono stati sotto gli occhi di tutta la cittadinanza. Evidentemente in occasione della Notte Bianca, sono emerse vecchie ruggini e impedimenti  tra tutti quegli “attori” che avrebbero dovuto fare la loro parte, invece è stata l’occasione in cui sono stati evidenziati i limiti della cattiva gestione dell’organizzazione, della scarsa collaborazione, che è un neo “storico” di Orta Nova e della tendenza alla disgregazione civile e culturale, che sembra sia epidemica nel caso della nostra città !  Nello specifico, le ragioni vere non sono del tutto chiare, e come al solito  esistono diverse versioni, a seconda di quale parte in campo le avanza, ma la cosa certa è che l’evento è saltato a meno di un mese dalla sua realizzazione. Tutti coloro che sono stati, direttamente o indirettamente, coinvolti escono sconfitti da questa vicenda, senza attenuanti e senza lo scaricabarile di responsabilità ! Inoltre la loro posizione è tanto più aggravata e compromessa, alla luce dei numerosi eventi similari, avvenuti nei centri limitrofi dei 5 Reali Siti, con esiti molto positivi ! Ma il buon senso ci suggerisce di pensare positivamente al futuro: proprio dalle ceneri di questo fallimento possono prendere vita  nuove idee per eventi davvero speciali, originali e ben studiati. A tal proposito c’è da sottolineare come già da qualche anno esiste un esagerato proliferare di notti bianche, a volte improbabili, grossolane, sovrastimate,  magari concepite esclusivamente ad uso e consumo dei tanti  gestori di bar, localini, ambulanti, comitati e simili e questo a lungo andare finirà col logorare il gusto e la volontà di chi partecipa ai suddetti eventi! Questa inflazione sta praticamente sottraendo quello che è lo spirito originario della Notte Bianca, rendendole quasi del tutto simili tra loro, e che spesso si riducono a un panino con salsiccia e una bottiglia di birra, oppure al consumo eccessivo di superalcolici e miscugli vari, a lunghe ed estenuanti passeggiate, schivando le bancarelle da mercato rionale e le centinaia di persone, spesso disinteressate di quello che viene proposto, che respirano a pieni polmoni i fumi invadenti e oleosi delle braci!  Però c’è da aggiungere che, se si pretende di dare un taglio “alternativo”, più culturale e più super partes  a questi eventi, si deve necessariamente coinvolgere l’amministrazione comunale, perché la Notte Bianca ( o Rosa che sia) diventi rassegna rappresentativa della città, lo specchio sociale, culturale e di maturità della comunità ortese, così come si potrebbero coinvolgere le parrocchie e tutte le associazioni cittadine, non necessariamente con un apporto economico, ma con idee innovative e azioni fattive, perché è bene che sia chiaro che… una buona idea vale più di tanto denaro, anzi spesso permette di risparmiarne tanto !